Colloqui coi taliban: trappola per Obama
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Colloqui coi taliban: trappola per Obama

L’annuncio a sorpresa del presidente degli Stati Uniti su colloqui di pace da tenersi in Qatar tra il presidente Karzai e i talebani è una scommessa piena di incognite

Per Lookout news

Barack Obama sembrava aver segnato un bel punto a suo favore, spiazzando l’intera comunità internazionale. E lo aveva fatto in quel di Lough Erne, Irlanda del Nord, dal palco più prestigioso che si possa immaginare: quello del G8, lo stesso dove stiamo assistendo all’imbarazzante fallimento della trattativa USA-Russia sulla Siria.

Ieri, infatti, mentre si stavano per spegnere i riflettori di una giornata davvero poco onorevole e quasi da dimenticare per i grandi della Terra, ecco il coup de théâtre del presidente degli Stati Uniti: l’annuncio a sorpresa di una vera e propria trattativa tra i talebani dell’Afghanistan e il governo del presidente Hamid Karzai, emanazione degli americani in Asia Centrale. “I colloqui di pace si terranno già nei prossimi giorni a Doha, in Qatar” era stato l’annuncio entusiasta. Dopodiché i colloqui stamani sono stati sospesi, già prima di iniziare. E stamattina quattro soldati americani sono rimasti uccisi da un attacco in Afghanistan, a Bagram. Ma ne parleremo più avanti.

Chi sono i talebani
I talebani salirono al potere in Afghanistan nel 1994, imponendo rigidi dettami islamici e un governo oscurantista, rovesciato dopo l’invasione dell’Afghanistan guidata dagli Usa in seguito all’11 settembre 2001, quando su di loro concentrarono le attenzioni del mondo, poiché ritenuti protettori di Osama Bin Laden, considerato l’autore dell’attentato al World Trade Center di New York.

Il loro capo, il Mullah Omar, è sempre rimasto latitante, nonostante una delle più grandi cacce all’uomo di tutti i tempi, e tuttora continua a comandare i talebani. Non a caso, la Casa Bianca ha avvistato che “a negoziare è la Commissione politica talebana che rappresenta tutte le fazioni e che ha avuto l’appoggio esplicito anche del mullah Omar”.

La condicio sine qua non per l’avvio dei colloqui è una soltanto, anzi tre: i talebani devono rinunciare alla violenza; devono rompere i legami con Al Qaeda; devono rispettare la costituzione afghana del 2004, guardando anche ai diritti delle donne e delle minoranze etniche. In questo modo, riferiscono da Washington, per i talebani si potrebbero aprire un giorno anche le porte (o perlomeno i corridoi) delle Nazioni Unite.

Il significato dell’annuncio al G8
Prima di capire bene il contenuto delle dichiarazioni del presidente, però, è opportuno sottolineare che l’annuncio è stato curato nei minimi dettagli dallo staff presidenziale: infatti, è avvenuto proprio nel giorno in cui a Kabul c’è stato il passaggio di consegne ufficiale delle “chiavi del Paese” dalle forze ISAF della NATO alle forze di sicurezza afghane.

Dichiarazione che, inoltre, cade in concomitanza con la suddetta trattativa sulla Conferenza di Pace per la Siria - arenatasi già prima di cominciare, com’era logico aspettarsi - e che ha tutta l’intenzione di mettere in ombra il presidente russo Vladimir Putin, facendolo apparire poco concreto rispetto a un presidente che riesce a mettere al tavolo della pace addirittura i talebani.

Infine, s’inserisce nel momento più difficile per Obama che, al ritorno in patria, dovrà valutare bene le mosse di politica interna, visto che lo attendono gli scottanti dossier sullo scandalo “spionaggio” (ma si potrebbe tranquillamente usare il plurale) da parte del governo a danno dei cittadini americani.

Come è cambiata la politica USA in Afghanistan
Chi ritiene che questo sia un tradimento da parte di Obama, che è pronto a scendere a patti con il terrorismo, non inquadra la questione dal punto di vista strategico degli americani. Anzitutto, l’Afghanistan non è più l’ombelico del mondo qaedista, che si è spostato in Medio Oriente e in Nord Africa. Poi, aiuta non poco entrambe le parti il fatto che gli USA siano in una fase avanzata dell’exit strategy che terminerà completamente entro il 2014  (oggi sono 97.000 i soldati ancora nel Paese, provenienti da 50 Stati, di cui circa 68.000 soldati USA). Inoltre, il ruolo e il peso diplomatico del Qatar sono cresciuti a dismisura negli ultimi anni e da qui passano ormai gran parte delle reti (e delle trame) che tesseranno il futuro ruolo dell’Islam nel mondo.

Ciò detto, l’annuncio dell’apertura di un bureau politico talebano a Doha - funzionale proprio a costruire “buone relazioni con i paesi vicini dell'Afghanistan”, come ha detto il portavoce talebano Mohammed Naeem ai giornalisti - è una notizia davvero singolare.

Le incognite sul successo delle trattative
Se ieri non c’era ragione di credere che quell’annuncio fosse prematuro (“Se il presidente si è esposto così tanto, avrà le sue buone ragioni”, si diceva nella sala stampa del G8) oggi sono il leader afghano Karzai - la “marionetta degli Stati Uniti” secondo i talebani - e il sangue americano di Bagram a ridimensionare il successo diplomatico: “C'è una contraddizione tra ciò che il governo degli Stati Uniti dice e cosa fa” ha detto un portavoce di Kabul “e il presidente Karzai non è felice del nome Emirato Islamico dell'Afghanistan, su questo ci opponiamo e il presidente USA ne è a conoscenza”.

Dunque, dire che quello di Doha si profila come un lungo e difficilissimo corso di negoziati è un eufemismo. Resta da scoprire se la mossa dei colloqui possa o meno diventare un boomerang. Può il democratico Obama cadere proprio su quella che fu la bandiera del repubblicano George W. Bush? L’Emirato Islamico dell’Afghanistan, prendendo a prestito un’espressione alla Von Metternich, è solo un’espressione geografica? Questa è la prova di maturità del Qatar e il passaggio decisivo per la credibilità di Barack Obama. Che potrebbe già essere caduto in una trappola.

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Luciano Tirinnanzi