Civati dichiara guerra a Renzi: "Al Senato si caccia nei guai"
Il giorno dopo la direzione Pd, gli oppositori rilanciano lo scontro sul Jobs Act e sull'articolo 18
"Per sua sfortuna stavolta la partita inizia al Senato (dal 7 si vota in aula) e non sarà una passeggiata. Se Renzi arriva a porre la fiducia sul jobs act allora vorrà dire che ha già perso. Vorrà dire che ci vuole portare alle elezioni...”. Pippo Civati rilancia la guerra in Parlamento, il giorno dopo la direzione Pd che ha visto il segretario-premier vincere con 130 sì.
Sull'articolo 18 torna lo psicodramma Pd
"Vittoria scontata" secondo Civati. Ma sulla quale ora grava l’ombra di quei 20 voti contrari che a Palazzo Madama, dove la maggioranza viaggia sul filo di 7 voti, si potrebbero tradurre in altrettanti se non di più pollici versi. Al momento restano una trentina i dissidenti (civatiani, bersaniani e dalemiani) firmatari dei 7 emendamenti, che in buona sostanza dicono no alla soppressione dell’articolo 18. Il numero delle firme non si è assottigliato nonostante il diktat del capogruppo pd Luigi Zanda che durante una lunga riunione ai suoi ha detto: "si segue il voto deciso a largo del Nazareno a stragrande maggioranza".
Il senatore pd Stefano Esposito, noto per le sue battaglie contro i no-tav, prevede che alla fine il numero dei dissidenti "si ridurrà a una quindicina". Ma, intanto, si inseguono i rumors secondo i quali Civati al Senato potrebbe fare un gruppo autonomo con i cinque senatori che ha e altrettanti che potrebbe trovare tra i grillini fuoriusciti. Civati a Panorama.it smentisce seccamente: "La devono smettere di inventarsi scissioni che io non annuncio nè minaccio, chi si scinde qui è Renzi che l’abolizione dell’articolo 18 nel suo programma non l’aveva proprio messa!".
Io non ho annunciato né minacciato scissioni. Qui chi si scinde è Renzi!
"Pippo", l’ex amico di "Matteo" ai tempi della prima Leopolda, ha parole di fuoco: "Io glielo avevo spiegato che si sarebbe messo nei guai; stavolta si incomincia dal Senato, quegli emendamenti servono per farlo ragionare". E votare contro anche se Renzi porrà la fiducia al governo è una possibilità: "Io non mi adeguo a una cosa che nel programma, insisto, non c’era" dice Civati. E se ci fosse il "soccorso azzurro"? "Allora si va a votare".
Ma Giorgio Napolitano non vuole sciogliere le Camere. "Voglio vedere come farà se si creasse una situazione di quel genere" taglia corto il deputato.
L'opposizione
Intanto i capigruppo di Forza Italia Renato Brunetta e Paolo Romani, Raffaele Fitto (che già domenica scorsa aveva invitato FI a guardare bene i contenuti della riforma Renzi) e Maurizio Gasparri, fanno sapere che Renzi mantenendo l’articolo 18 anche per i casi di licenziamento per cause disciplinari sta snaturando la riforma del Jobs act.
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Brunetta va già duro: "Un imbroglio". Fitto: "Ha annacquato tutto". E duro anche Romani, uomo in genere ritenuto tra i principali fautori del cosiddetto Patto del Nazareno: "Renzi vanifica la riforma". I renziani lo interpretano come "un gioco delle parti".
Ma certamente al Senato Renzi non giocherà in casa come a largo del Nazareno. Anche se quegli affondi di Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani non lo hanno affatto reso felice.
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La classe non è acqua
L’obiettivo di spaccare la minoranza comunque a Renzi è riuscito. Tra gli 11 astenuti ci sono nomi di peso come il capogruppo alla Camera Roberto Speranza e altri bersaniani e dalemiani di spicco come Enzo Amendola della segretera. L’intervento di D’Alema, secondo alcuni, "ha evitato che Matteo se la cavasse con una decina di astensioni e nessun voto contrario, già si stava stendendo il documento di mediazione...". Ma, raccontano alcuni esponenti della direzione, vicini a Renzi: "Dobbiamo dire la verità, anche se non eravamo affatto d’accordo, mentre D’Alema parlava ci siamo divertiti tutti. Sì, è stato duro, saccente, sarcastico. Ma D’Alema è D’Alema. Più greve l’attacco di Bersani. Perché la classe non è acqua, diciamolo...”.