Cinque stelle/1. Anatomia della dissidenza
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Cinque stelle/1. Anatomia della dissidenza

La lista dei grillini dissidenti, sospettati d’intelligenza col nemico, si è fatta improvvisamente nutrita

Metodo Grasso, l'hanno chiamato: ha diviso i grillini nella scelta del presidente del Senato. L'opzione Alfano invece rischia di spaccare il Movimento 5 stelle in nome dell'accordo di governo con il Partito democratico. Incontri furtivi sono avvenuti giovedì 4 aprile: da Palermo era per l’appunto arrivata a Roma Sonia Alfano, eurodeputata e presidente della Commissione antimafia a Bruxelles.

E attorno a lei si è stretta parte dell’ala più trattativista del movimento. Quella che, nel caso in cui fallisse l’ipotesi di un governissimo Pd-Pdl, sarebbe disposta a votare un esecutivo guidato da un democratico, foss’anche Pier Luigi Bersani.

La falange alfaniana dei dissidenti è sempre più nutrita: oggi conterebbe una ventina di deputati e soprattutto 10 senatori, numero sufficiente per garantire al centrosinistra una maggioranza, seppure striminzita, a Palazzo Madama. L’eurodeputata è arrivata a Roma nel primo pomeriggio di giovedì, proprio il giorno prima della «gita a Fiumicino» con il summit tra Beppe Grillo e i suoi parlamentari in un agriturismo.

Nella capitale ha incontrato in incognito una quindicina di malpancisti. Alcuni li ha visti in un bar alle spalle di via del Corso. Altri in un albergo della stessa zona. L’ultimo gruppetto, invece, è andato a trovarlo lei, in un appartamento dietro Montecitorio, dove vivono sei pentastellati.

Molti di loro Sonia Alfano li conosceva già. Del resto l’europarlamentare siciliana è sempre stata vicinissima al movimento: candidata a sindaco di Palermo nel 2008 con la lista Amici di Beppe Grillo, poi eletta a Bruxelles nell’Idv come indipendente, sempre in quota Grillo. Ma adesso in aperta polemica con il comico genovese. Primogenita di Beppe, giornalista siciliano ucciso dalla mafia, Alfano ha 41 anni e tre figli. Ha conosciuto molti dei neoparlamentari nella sua crociata contro Cosa nostra.

Con il senatore Mario Michele Giarrusso condivide l’impegno nella fondazione Antonino Caponnetto. Mentre Giulia Sarti, vivace deputata, e Luigi Di Maio, vicecapogruppo alla Camera, fanno parte delle Agende rosse, il gruppo di cui Alfano è una delle promotrici. Ottimi i rapporti anche con Ivan Della Valle, onorevole piemontese. Mentre altri due deputati, oggi però ultraortodossi, sono stati suoi collaboratori: Azzurra Cancelleri, sorella del più famoso Giancarlo, ex candidato governatore in Sicilia, e Riccardo Nuti.

Sonia Alfano, dunque, ben comprende uomini e dinamiche dei Cinque stelle. E a Panoramaconferma di essere stata contattata da tanti dissenzienti, «a disagio per la linea poco propositiva del movimento». Aggiunge: «Sono pronta a fare la mia parte, per dare voce al loro dissenso. Ma serve gente coraggiosa, che non si lasci intimorire dai metodi di Grillo. E poi bisogna costruire un progetto».

Di questo si sarebbe parlato negli incontri romani. Pochi punti: legge elettorale, conflitto d’interessi e no all’alta velocità ferroviaria. Temi da proporre a un ipotetico governo Bersani o, in subordine, a un esecutivo tecnico-politico. La scissione sarebbe inevitabile, se l’ex comico continuasse a imporre l’Aventino: nessun nome per la presidenza della Repubblica, idem per l’esecutivo, e un niet precostituito a ogni genere di dialogo.

Negli ultimi tempi i contatti fra i dissidenti si stanno infatti intensificando, complice anche il corteggiamento dei pontieri di Bersani: alcuni noti (Laura Puppato, Luigi Zanda, Michele Emiliano), altri meno (Pasquale Sollo, Andrea Di Martino, Doris Lo Moro). Certo è che la lista dei grillini sospettati d’intelligenza col nemico s’è fatta improvvisamente nutrita.

Solo al Senato, dove ogni loro voto potrebbe diventare determinante, ci sarebbero i siciliani Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino, la toscana Alessandra Bencini, il calabrese Francesco Molinari, il giuliano Lorenzo Battista. Forse anche per questo Grillo negli ultimi tempi ha affinato i modi.

Benché il disaccordo rispetto alla sua linea aumenti, e venga suffragato con quotidiane cacce all’apostata, il leader non ha minacciato epurazioni, com’è solito fare. Neppure del temerario deputato siciliano Tommaso Currò, che alla Stampa ha detto: «Serve un confronto con il Pd, non siamo automi, se Beppe vuole parlarci venga qui».

Tanta baldanza non è stata sanzionata nemmeno dagli ultraortodossi. Anzi, l’onorevole è stato blandito e trattato come un «cittadino» in crisi identitaria. Più in generale, la nuova linea di Grillo si è sostanziata in tre atti. Primo: nell’incontro di Fiumicino con i suoi parlamentari, il comico genovese ha usato toni più distesi del solito. E soprattutto ha evitato di portarsi dietro il guru Gianroberto Casaleggio, da molti considerato l’«anima nera» del movimento.

La rimpatriata però non è servita a ricomporre il dissenso: fra i potenziali scissionisti il commento più frequente è stato un desolato «ci porta in gita come una scolaresca». La seconda mossa di Grillo è stata l’apertura, poi ufficialmente smentita, a rivedere le strette regole sullo stipendio destinato a deputati e senatori, volgarmente chiamato «la paghetta».

Infine, il terzo stadio della strategia: via all’occupazione di Montecitorio dei deputati, «come ai tempi della Pantera». Tutte queste iniziative sono finalizzate a rinsaldare un gruppo sempre più diviso, infastidito anche dalla presenza di sedicenti esperti di comunicazione piazzati da Casaleggio a Montecitorio e a Palazzo Madama.

Una decina di fedelissimi percepiti da molti come spie, pronte a riferire ogni spiffero ai capi. Un clima dove «niente è come sembra» e «non bisogna fidarsi di nessuno», proprio come nella Regola del sospetto, film di cassetta americano di una decina di anni fa che racconta di agenti segreti e pericolosi doppi giochi.

La stessa regola sembra valere per il Pd, spossato dalla corsa al Quirinale che deve formalmente ancora partire. Molto dipende dall’effetto destabilizzante della dottrina Bersani, che poi sarebbe la versione non parodistica del «ma anche» di Walter Veltroni.

Dice di fatto il segretario democratico: «Pur di fare il governo vanno bene i voti grillini, ma anche quelli dei transfughi grillini, ma anche di Mario Monti, ma anche della Lega, ma anche del Cavaliere. Solo che gli altri mi possono chiedere qualsiasi cosa in cambio, mentre Silvio Berlusconi i voti deve darmeli gratis, senza nulla a pretendere, né in termini programmatici né di ministeri. Forse può contribuire alla scelta del nuovo capo dello Stato». Forse.

E così un giorno i favoriti per il Colle diventano Gustavo Zagrebelsky, Romano Prodi o Stefano Rodotà: tutte ipotesi che ammiccano ai cinquestelle. Il giorno seguente sembrano invece prevalere nomi che favoriscono la concordia con Berlusconi: cioè Franco Marini, Giuliano Amato o Massimo D’Alema.

Una confusione determinata dalla politica democratica dei due forni: filo Pdl e anti Pdl a giorni alterni.Va da sé che la soluzione antiberlusconiana punterebbe a spingere alcuni grillini a sostenere un esecutivo a guida democratica. Viceversa, la soluzione berlusconiana comporterebbe una possibilità più che concreta di governo comune con il Pdl, con Angelino Alfano vicepremier: schema che ormai quasi prescinde da Bersani, poiché caro a Giorgio Napolitano e a buona parte della nomenclatura del centrosinistra.

Soprattutto a quella finora silente. Il sospetto ha di conseguenza aggredito le carni e il sangue (anche) dei democratici: la regola è che nessuno si fida più di nessuno. Nel Pd, insomma, c’è un 8 settembre quotidiano. Compagni di tante battaglie comuni si ritrovano d’improvviso come l’Italia con la Germania nel 1943: su fronti opposti.

Per dirne alcune, Matteo Orfini, leader dei «giovani turchi» e allievo prediletto di D’Alema, è in contrasto con il suo mentore. A sua volta D’Alema, (ex) fiero sostenitore di Bersani, ha aperto un canale diplomatico con Matteo Renzi in chiave antielezioni. In parallelo il sindaco di Firenze sta però pianificando la campagna per il voto,primarie comprese.

Per farla breve, leader e correnti varie tengono aperte più porte possibili. Rischiano però di sbattere tutte in faccia a Bersani. Al quale non restano quindi che gli Alfano, Sonia o Angelino che siano. Ovvero il giorno e la notte.

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