Cina e Giappone: chi vince e chi perde con Donald Trump presidente
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Cina e Giappone: chi vince e chi perde con Donald Trump presidente

Mettendo i bastoni tra le ruote alla Cina gli Stati Uniti potrebbero stravolgere gli equilibri dell'Asia, creando spazio per la rinascita del Sol Levante

Una delle parole chiave della campagna elettorale di Donald Trump è stata retrenchment, che vuol dire sia taglio delle spese, sia ridimensionamento della proiezione estera di un paese. Trump ha trasformato l'idea della condivisione dei costi della sicurezza collettiva nel suo cavallo di battaglia, anche perché questo risparmio, in termini di risorse umane e materiali, è stato fin dall'inizio associato all'opportunità di investire nell'economia, permettendo agli Stati Uniti di riguadagnare competitività sui mercati internazionali.  

Se questo è vero, Washington dovrebbe finire presto con lo sfilarsi molte delle responsabilità di cui si era presa carico soprattutto in Estremo Oriente, lasciando quindi campo libero a Pechino e Tokyo di gestire la regione in base alle rispettive necessità.

L'eredità di Obama

I rapporti tra Usa, Cina e Giappone sono però molto più complicati di quanto tanti riescano a immaginare, e questo impone di analizzare con molta attenzione i possibili scenari che potrebbero concretizzarsi in Estremo Oriente.

Barack Obama è stato criticato molto per aver investito così tante risorse nel suo Pivot to Asia. Tanto sul piano politico e strategico quanto su quello economico gli Stati Uniti si sono mossi per alterare gli equilibri di potenza della regione spostandoli verso l'America, allontanando quindi quanti più paesi possibili dall'orbita di Pechino. 

Il vero difetto del Pivot to Asia di Obama è stato però quello di non essere stato sufficientemente convincente. O meglio, di aver cercato di indurre le nazioni dell'Asia a rinunciare all'alleanza con Pechino senza riuscire a trasformare Washington in un'alternativa sufficientemente credibile. Fomentando quindi le tensioni in Asia e creando ancora più confusione

Con Trump, invece, la musica potrebbe essere cambiata. A prescindere dal fatto che si tratti di esuberanza o scarsa esperienza o visione politica, è già un dato di fatto che l'equilibrio asiatico verrà scosso, su almeno tre fronti.

Il rapporto Cina-Usa

Le relazioni tra Cina e Stati Uniti hanno già smesso di essere improntate alla "finta disarmonia". Washington non provocherà più la Cina sui temi dei diritti umani e della democrazia, nel tentativo (vano) di fare pressioni su argomenti sì controversi, ma che di fatto non costringono Pechino a reagire in maniera diretta. Trump sembra essere intenzionato a spostare il fulcro del dibattito su questioni molto più serie come il rapporto tra Cina e Taiwan (anzi, tra Usa e Taiwan), e i dazi doganali

Se fino ad oggi le pressioni più o meno velate di Washington non hanno portato a nulla, con Trump le regole del gioco cambieranno. E visto che, a prescindere dalle provocazioni che arrivano dal Pacifico, Pechino non può permettersi di sostenere i costi di una guerra, è molto probabile che, per salvare faccia e portafoglio, accetterà qualche compromesso in più.

Il peso degli Stati Uniti in Estremo Oriente

Alzando la voce direttamente con Pechino anziché tentare (inutilmente) di relegarla in una posizione marginale in una regione che, in fin dei conti, domina da sempre, gli Stati Uniti riusciranno anche ad essere percepiti come una potenza più affidabile da tutte le nazioni asiatiche. Che quindi, anziché buttarsi tra le braccia della Repubblica popolare perché deluse dal Pivot to Asia di Obama, potrebbero continuare a trovare l'ambigua altalena tra Pechino e Washington soddisfacente. 

Il nodo del Giappone

Diversamente da Obama, Trump non sembra essere interessato a sostenere le iniziative di matrice multilaterale per contenere questo o quel paese. Al nuovo presidente americano piace essere diretto, quindi tenderà a privilegiare i rapporti bilaterali. Favorendo il Giappone, che oltre a poter tornare ad essere percepita come la potenza di riferimento degli Usa in Asia, potrebbe approfittare dell'eventuale perdita di rilevanza delle strutture regionali per rilanciare la propria posizione tra i vicini orientali.

Il rafforzamento della cooperazione militare con Washington e la risoluzione di alcune delle controversie territoriali con Mosca potrebbero aiutare il Giappone a consolidare l'immagine di potenza forte, affidabile, e anche lineare. Quindi più interessante di una Cina sempre più incomprensibile e minacciosa. Se poi il governo di Shinzo Abe riuscisse a rilanciare anche l'economia del Sol Levante (e la probabilità che ce la faccia è oggi più elevata che mai visto che il leader può contare sul sostegno di entrambe le Camere del Parlamento giapponese), i problemi per la Cina aumenterebbero. E la sua capacità di muoversi liberamente nella regione ne risulterebbe fortemente compromessa.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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