Cina contraria all'estradizione della talpa Edward Snowden
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Cina contraria all'estradizione della talpa Edward Snowden

A sorpresa, il Partito comunista cinese suggerisce a Hong Kong di tutelare i diritti umani e proteggere la libertà di parola

Cosa pensano la Cina e i cinesi del caso Edward Snowden? Perché Hong Kong e Pechino difendono la "talpa" del Datagate? E soprattutto, siamo sicuri che la Repubblica popolare e l'ex colonia la pensino allo stesso modo? Perché anche se la stampa ufficiale del continente ha detto che, qualora il governo della Regione amministrativa speciale decidesse di procedere all'estradizione, questa scelta macchierebbe il suo sistema di libertà e difesa dei diritti in maniera indelebile (che, detto dalla Cina, sembra a dir poco surreale), sono stati gli attivisti pro-democrazia e i paladini dei diritti umani, vale a dire gli storici nemici del Partito comunista, a manifestare nelle strade dell'isola per spronare il paese a difendere Edward Snowden tutelando la libertà di parola. E tutto questo non può che aver infastidito, e preoccupato, il regime.

Il caso Snowden ha creato non pochi problemi a Pechino, e non tanto perché Cina e Stati Uniti si punzecchiano da tempo sul tema dello spionaggio industriale, quanto piuttosto perché la permanenza della talpa in territorio cinese costringe il regime a fare delle scelte importanti che avrebbe preferito continuare a rimandare. La vicenda Snowden, infatti, va inquadrata sia dal punto di vista delle relazioni Pechino-Washington, sia da quelle Pechino-Hong Kong.

Nel corso del vertice informale californiano della settimana scorsa Barack Obama e Xi Jinping si erano per l'ennesima volta confrontati sul tema dello spionaggio informatico, promettendosi a vicenda di aumentare i controlli e di collaborare. Il caso Snowden costringe la Cina a fare qualcosa per dimostrare che quelle del suo Presidente non erano parole vuole. Concedendo l'estradizione della pericolosa spia. 

Come se non bastasse, il caso Snowden pone il regime nella condizione di convincere l'ex colonia che Pechino non ha intenzione di rimettere in discussione il modello "un paese e due sistemi". Ma permettendole di decidere in maniera del tutto indipendente come trattare il rifugiato, corre il rischio di creare frizioni con gli Stati Uniti in una fase in cui andrebbero a tutti i costi evitate.

La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che se Pechino ha cercato di risolvere il problema in una maniera che potesse essere considerata accettabile per tutti, Washington e Hong Kong hanno più o meno direttamente ribadito di non essere disposte a raggiungere un compromesso. O meglio, nell'ex colonia questo è il punto di vista della popolazione, non del Governatore C.Y. Leung, che ha preferito nascondersi dietro un ingombrante "no comment" inducendo il suo popolo a credere che stia aspettando che il Partito gli "suggerisca" come procedere.

Poi, all'improvviso, la stampa ufficiale di Pechino ha chiarito che percorrere la strada dell'estradizione sarebbe stato un grave errore, che avrebbe portato la "Cina libera" a "perdere la faccia", tradendo contemporaneamente la fiducia di Snowden e le aspettative di libertà che il mondo ripone nella "Grande Cina" del Terzo Millennio. Ricordando che la nuova Cina, sempre più potente è rispettata, ha oggi l'occasione per trasformarsi in uno dei luoghi più ambiti da chi cerca protezione e asilo. Come se nella Cina continentale si vivesse come a Hong Kong...

Cosa significa tutto questo? Pechino ha deciso di sfidare Washington per recuperare la stima di (e il controllo su) Hong Kong? O sta di nuovo giocando con le parole, e col fuoco, nel tentativo di prendere tempo per lavorare a una soluzione alternativa? E' quest'ultima la soluzione più probabile. Perché mantenere rapporti cordiali con l'America ed evitare che la popolazione di Hong Kong continui a credere che il regime voglia "cinesizzarla" come ha fatto con uiguri e tibetani sono due priorità cui Pechino attribuisce lo stesso valore. Tant'é che l'estradizione di Snowden non l'ha negata un portavoce del Partito, ma un quotidiano. Che ha ricordato che fra circa 80 giorni la talpa perderà il diritto di rimanere a Hong Kong. E solo allora diventerà necessario prendere ufficialmente posizione sul caso

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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