Caso Messineo-Panorama: "Si scoperchia Palermo, finalmente"
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Caso Messineo-Panorama: "Si scoperchia Palermo, finalmente"

Riprendiamo l'articolo pubblicato oggi dal quotidiano Il Foglio, secondo il quale "Il Csm comincia a svelare il bluff" - Le stesse accuse di Panorama - l'articolo incriminato - il conto alla rovescia  - L'opinione di Filippo Facci

L’ultimo suo grido di vittoria risale a una ventina di giorni fa quando il tribunale di Milano aveva scandalosamente condannato a un anno di carcere senza condizionale tre giornalisti di Panorama, tra i quali il direttore e Andrea Marcenaro, colpevoli di avere scritto che lui, Francesco Messineo, procuratore di Palermo, era un capo debole, “privo di carisma”, e che il vero padrone dell’ufficio era in realtà il suo vice, quell’Antonio Ingroia che, dopo avere indagato per una decina d’anni sulla fantomatica trattativa tra stato e mafia, aveva pensato bene di mettere a frutto la popolarità costruitagli attorno dagli amici giornalisti e di candidarsi, come Bersani o Berlusconi, a capo del governo. Ma ieri mattina, all’improvviso, la traboccante alterigia del dottor Messineo ha dovuto subire una battuta di arresto. Perché il Csm, dopo una lunga istruttoria, ha deciso di avviare nei suoi confronti la procedura per il trasferimento di ufficio. Una procedura pesantissima con accuse che, manco a dirlo, sembrano tratte dall’articolo pubblicato da Panorama. Solo che l’organo di autogoverno dei giudici le ha messe insieme dopo avere ascoltato le testimonianze dei magistrati in forza alla procura.

Secondo il Csm, Messineo non ha gestito in questi ultimi anni l’ufficio “con la necessaria indipendenza” perché “troppo condizionato” da Ingroia. In che modo? La prima commissione di palazzo dei Marescialli non è entrata ufficialmente nel merito e la prima audizione di Messineo, invitato a presentarsi con il proprio difensore, è prevista per il 2 luglio. Fonti non ufficiali ricordano però come Ingroia fosse quasi sempre e quasi per caso il titolare delle inchieste che, per un motivo o per un altro, creavano in Messineo non pochi motivi di imbarazzo: un giorno, per esempio, il pm della Trattativa ha scoperto che il cognato del suo capo era impigliato in una brutta storiaccia di mafia, lo ha rinviato a giudizio ma non ne ha fatto un dramma né ha convocato i giornalisti; oppure ha scoperto che il procuratore in persona parlava un po’ troppo al telefono con un suo amico inquisito, ma non ha gridato subito allo scandalo né ha informato il suo fraternissimo amico e manettaro del Fatto: anzi, se l’è presa comoda e ci ha pensato su cinque mesi prima di tirare fuori le scottanti intercettazioni dai cassetti e inviarle alla competente procura di Caltanissetta perché ne traesse le conseguenze.

Per il Consiglio superiore della magistratura l’affaire Messineo non sarà comunque una passeggiata. Primo: perchè il “difetto di coordinamento” nel lavoro della procura avrebbe avuto come “consguenza la mancata cattura” del temutissimo boss latitante Matteo Messina Denaro, l’erede di Totò Riina e di tutti i sanguinari “corleonesi”. Conseguenza devastante, ovviamente, che potrebbe anche configurare ben altre responsabilità, oltre quella semplicemente amministrativa: per molto meno e senza prove valorosi ufficiali dei carabinieri sono stati messi alla gogna e sotto processo. Secondo: perché affondare le mani nel ventre molle della procura di Palermo significa alzare il coperchio di una pentola dalla quale, per parecchi anni, si sono sprigionati molti veleni. E significa soprattutto trovarsi di fronte a una matassa intricata di rancori e risentimenti, di faide acuminate e di reciproche coperture. Basti pensare che il Csm dovrà affrontare contemporaneamente altre due richieste di procedimento disciplinare a carico di Ingroia: l’ultima l’ha avanzata l’altroieri il pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, dopo avere constatato che il pm della Trattativa, trasferito ad Aosta in seguito al clamoroso flop elettorale, continua smaccatamente a svolgere attività politica e a incassare puntualmente, pur senza prestare servizio, il suo stipendio di magistrato.

Un fatto esecrabile, certamente. Ma non il più grave. Anche se il Csm riuscirà a stroncare la vergogna di uno stipendio pagato “ a sbafo”, bisognerà vedere come la “disciplinare” del Consiglio superiore giudicherà i metodi utilizzati da Ingroia per tenere sotto scacco Messineo e non incontrare di conseguenza alcun ostacolo nella costruzione della mastodontica inchiesta sulla Trattativa. Una inchiesta, ricordiamolo, costruita per lo più negli studi televisivi e sulle pagine dei giornali con l’obiettivo non secondario di lanciare l’ambizioso pm, con il suo servizievole corteo di velinari e pataccari, nelle dorate praterie della politica. Gli elettori, per fortuna, hanno capito il gioco e l’hanno bocciato. In malo modo. Ma un organo costituzionale serio come il Csm non può fare finta che a Palermo, in questi ultimi anni, non sia successo nulla di grave e preoccupante.

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