Caso Cipro: dove finirà l'Europa?
News

Caso Cipro: dove finirà l'Europa?

Cipro è solo l’ultimo segnale che evidenzia i limiti di un’unione europea formale e solo in parte sostanziale

Nel 1957, la sala degli Orazi e Curiazi al Campidoglio ospitò la firma dei Trattati di Roma, un atto seminale che darà il via a tutte le istituzioni a venire dell’Europa unita. In quel giorno di marzo, al mondo sembrò quasi che i sei Paesi fondatori - Italia, Francia, Germania (ovest), Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo - fossero infine riusciti a cogliere quel sogno di gloria che fu già di Carlo Magno come di Carlo V, di Napoleone come di Hitler, inseguito ma mai pienamente raggiunto da alcuno, a causa della fragilità stessa dell’idea tanto grandiosa quanto irraggiungibile di unire il Vecchio continente sotto un’unica insegna.

Sembrò anche che l’Europa, malgrado tutto, fosse uscita infine vincitrice da un conflitto fratricida che l’aveva dilaniata per secoli, fino alla Seconda Guerra Mondiale: proprio quando il mondo si voleva diviso tra Stati Uniti e Unione Sovietica, nasceva il seme di un “terzo incomodo”, seppur orientato a Occidente.

Come la vittoria degli Orazi sui Curiazi potè concretizzarsi grazie a un’astuzia, fu per mezzo di uno scaltro stratagemma che i sei Stati europei poterono mettere in piedi un’architettura che è riuscita ad arrivare, nel bene e nel male, fino ai giorni nostri: tale astuzia consistette nello stringere un patto progressivo che non imponeva da principio né un comando politico né un esercito unico - elementi che da sempre contraddistinguono un’entità statuale - perché nessuno avrebbe accettato le condizioni troppo rigorose di una delega piena e immediata.

Il senso dell’operazione dei padri fondatori si basava sulla convinzione machiavellica che “La natura de' populi è varia ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione”: una lenta opera di inclusione avrebbe condotto inevitabilmente al risultato atteso, il resto sarebbe venuto da sé. E, almeno in parte, fu così, se oggi si contano 27 Stati membri.

Ma in quella strategia - resa necessaria dall’esigenza di incorporare pacificamente un Paese dopo l’altro, vincendo le resistenze di ciascuno Stato attraverso la persuasione e l’accomodamento - si annidava anche il peccato originale dell’Unione Europea. Già ,perché concedere dilazioni sull’accettazione di regole condivise e permettere marcate differenziazioni tra Stati (come nel caso della moneta unica) non poteva che nuocere alla salute dell’UE.

Che forse Abramo Lincoln avrebbe lasciato che in qualche Stato del Sud degli Stati Uniti si potesse mantenere la schiavitù? Che forse l’Unione Sovietica avrebbe permesso a una delle sue repubbliche di mantenere un proprio esercito indipendente?

Lo stato dell’arte

In Europa, invece, è sempre stata l’arte del compromesso a prevalere, ieri come oggi. Esistono numerosi distinguo che minano le basi della stabilità europea e che, tecnicamente, a Bruxelles si chiamano “opt-out”, ovvero accordi in seno all’Unione che prevedono la possibilità per alcuni Stati di non partecipare agli impegni comuni in un determinato campo.

Non vi è un giudizio di merito nel condannare questo sistema. Ogni Stato sovrano ha il diritto ai propri calcoli utilitaristici. Ma proprio questo è il punto: nell’Unione Europea c’è sì un sentimento comune, una cultura comune, un mercato e una moneta comuni e persino una storia comune (anche se, spesso, fatta di sangue). Ma una cosa non c’è ancora e rischia di non esserci mai: una direzione comune.

Il caso di Cipro

Prendiamo il caso cipriota, balzato improvvisamente agli onori della cronaca. In fin dei conti, Cipro è solo l’ultimo campanello di allarme, che ben chiarisce la situazione ballerina dell’area euro e che mostra tutti i limiti dell’arte del compromesso sposato a tutti i costi dall’Unione. Quando, da sinceri europeisti, sogniamo una piena e compiuta unificazione dell’Europa, dobbiamo anche tenere a mente dove finisce quel sogno.

E il sogno finisce proprio lì, a Nicosia, contro il muro di berliniana memoria che divide la capitale cipriota in due metà, una delle quali occupata da quella stessa nazione, la Turchia, che a sua volta vorrebbe entrare a far parte dell’UE. Per il momento, il muro di Nicosia resta in piedi, granitico e immobile, a ricordarci che sono ancora troppe le questioni irrisolte che ci dividono e che c’è ancora tanto lavoro da fare.

E se anche qualcuno alla fine prevarrà, come gli Orazi prevalsero sui Curiazi, vale la pena soffermarsi a riflettere che, in fondo, quella dipinta nella sala capitolina dove tutto ebbe inizio, è solamente una leggenda.  

I più letti

avatar-icon

Panorama