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Camion e biciclette, come convivere nel traffico

Milano è una città non a misura di ciclisti? Nonostante il moltiplicarsi di incidenti la risposta è no. La testimonianza di chi da quarant'anni pedala quotidianamente nel traffico

Ormai quotidianamente leggiamo quanti sostengono che Milano non sia una città per ciclisti. Vi sbagliate di grosso, e scrivo per esperienza quarantennale, ma per sopravvivere e procedere con maggiore sicurezza è necessario smettere di pedalare pensando che lo sia. Inutile seguire in modo acritico le piste ciclabili virtuali che sono state disegnate, spesso in modo naif, ed anche pensare di essere ad Amsterdam, Copenaghen o a Helsinki. Mi spiego meglio: affiancare un mezzo pesante è sempre una mossa sbagliata, come lo è pensare di avere gli stessi ingombri di una vettura che debba svoltare a sinistra e di conseguenza il medesimo rispetto, o la stessa visibilità, da parte degli altri utenti della strada.

Meglio, allora, arrivare al semaforo, scendere e attraversare portando la bicicletta a mano. Perché la guida tipica dell’automobilista milanese lo porta a occupare nel minor tempo possibile tutto lo spazio libero disponibile. Non è una colpa, serve a facilitare chi sta dietro e magari deve a sua volta svoltare. Semplicemente la parte centrale della città ha un’urbanistica monocentrica e per attraversarla esistono soltanto due modi: passare per piazza Duomo e dintorni, oppure girarci attorno. E siccome il traffico a motore deve giocoforza scegliere la seconda opzione, a causa dell’Area C, ogni incrocio vede anche quello delle traiettorie tra vari flussi e tipologie di traffico.

Essere in bicicletta non significa poter attraversare la strada con il rosso qualora non sopraggiunga nessun altro, non significa poter salire e scendere dai marciapiedi quando è comodo e neppure rallentare il traffico piazzandosi in mezzo alla corsia. Il perfetto candidato per un incidente è il ciclista che ascolta la musica con le cuffiette o che telefona mentre pedala. E non soltanto con l’auricolare in un orecchio, ma spesso con entrambe le orecchie tappate o anche coperte da cuffie integrali più adatte al viaggio in treno e in aereo. Ci sono effetti diretti sia sull’equilibrio, sia su una possibile sindrome da visione “a tubo”, ovvero non si percepiscono né i movimenti né la situazione intorno.

Abitudine pessima è anche quella di approfittare del semaforo rosso per fare zig-zag tra le vetture e guadagnare posizioni verso la linea dello stop; ed anche utilizzare una scarsa illuminazione, come non indossare il casco. La maggioranza delle bicilette non ha specchietto retrovisore (come invece motocicli e ciclomotori) e quando possono infilarsi contromano per sfruttare una scorciatoia lo fanno senza prima fermarsi e osservare che cosa accade in quella strada. Se poi parliamo di efficienza dei mezzi, apriti cielo: freni inesistenti o consumati, mancanza di segnalatore acustico (campanello, clacson, trombetta), parcheggi creativi laddove i passaggi devono restare liberi e totale incapacità di gestire piccole riparazioni come una gomma bucata o la semplice caduta della catena.

Non parliamo poi di coloro che in strada usano una bici con pneumatici sottili da “Giro d’Italia” o, peggio, che trainano con la bicicletta un basso carretto contenente i figli, che stanno proprio ad altezza tubo di scappamento altrui: sappiate che le auto di oggi sono molto alte e per il conducente è impossibile vederli anche se dotati di bandierina colorata. Insomma, è vero che il traffico è una pericolosa giungla, che gli incidenti ai ciclisti sono parecchi, ma poi andando a esaminare per bene le dinamiche si scopre che non è automaticamente colpa di chi conduce il mezzo più ingombrante. Forse il Comune di Milano, nei suoi corsi serali, potrebbe cominciare a farne uno di educazione stradale per pedalatori.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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