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Ansa
Calcio

Spadafora, un ministro sempre contro tutti

Riaprono (poco) gli stadi, ma resta il caos con le Regioni che impongono la linea all'uomo che riesce nell'impresa di unire il calcio nella critica al suo operato

Gli stadi italiani (e non solo) riaprono dopo la lunga emergenza Coronavirus. Una riapertura piccola piccola, quasi insignificante rispetto ai grandi numeri della Serie A, ma che scrive un nuovo capitolo del difficile rapporto tra il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora con il settore trainante del sistema da lui rappresentato. Gli stadi riaprono per al massimo 1.000 spettatori - tutti distanziati e con mascherina - perché così hanno imposto le Regioni partendo dalla solita Emilia Romagna e con Veneto e Lombardia a ruota. Esattamente come era avvenuto in aprile, quando l'assurdo diktat secondo il quale tutti potevano tornare ad allenarsi individualmente ma non i calciatori, a meno di non farlo al parco in mezzo alla gente normale, era crollato a colpi di ordinanze regionali.

Lo schema si è ripetuto adesso, ma per arrivare al risultato si è percorsa la strada più tortuosa possibile. E il semaforo verde preannunciato da Spadafora ("Pubblico presente nelle ultime due giornate degli Internazionali d'Italia di tennis") acceso nel venerdì di vigilia del campionato, ha finito per creare un cortocircuito istituzionale che ha travolto la linea prudente del Governo. Ha costretto al passo indietro chi continuava a volere la serrata e reso ancora più evidente il nonsense delle ultime settimane, vissute con cinema, teatri, piazze ed eventi culturali aperti (anche palazzetti del basket e circuiti di auto e moto) e stadi rigorosamente chiusi.

E ha fatto perdere la pazienza anche a un uomo solitamente incline ai toni bassi come il presidente della Lega Serie A, Paolo Dal Pino, che ha parlato prima di situazione surreale e poi chiesto rispetto per l'industria calcio, costretta a fare da sé dall'inizio della pandemia. Come dargli torto del resto? La piccola e parziale riapertura degli stadi è arrivata con due partite già disputate o quasi e meno di ventiquattro ore prima della giornata di debutto del campionato. Dopo settimane di vane richieste di attenzione e con sul tavolo un protocollo da 300 pagine che provava a disegnare per il calcio lo stesso percorso già compiuto da decine di altre attività economiche, ricreative e sociali di questo Paese. Evidentemente diverse dal calcio nella considerazione della politica e nel peso del proprio rappresentante dentro il Governo.

Spadafora, il ministro che a marzo cambiò idea nell'arco di una notte esponendo la Serie A alla brutta figura di una partita bloccata con i giocatori negli spogliatoi, e che a maggio di guadagnò l'etichetta di 'Ministro contro lo sport' continuando a sostenerne il lockdown anche contro ogni evidenza, non è riuscito a guadagnare consensi nemmeno questa volta, insomma. Nemmeno in un passaggio in cui ha provato (tardivamente) ad allungare la mano ai suoi amministrati.

Il risultato è un torneo che si apre nella totale incertezza alla voce 'stadi aperti', con numeri risibili rispetto alle possibilità e alle esigenze di club che stanno perdendo decine di milioni di euro ogni settimana anche per il blocco degli ingressi sugli spalti. Ora la promessa è che la spedizione dei Mille (presenti allo stadio) servirà come "sperimentazione" in vista del 7 ottobre, così da capire quale percentuale di capienza si possa scegliere come rischio accettabile.

E Spadafora ha concluso l'ennesima giornata di cortocircuito con una dichiarazione che assomiglia a una minaccia: "Oggi si è deciso sulla serie A perché ricomincia questo weekend e perché ho voluto per equità rendere uniforme una scelta che era stata autonomamente adottata solo da tre Presidenti di Regione. Gli altri campionati inizieranno il prossimo fine settimana e condivideremo una linea unica per tutti". Ecco, magari, sarebbe utile muoversi con qualche minuto d'anticipo.

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Giovanni Capuano