Salvate il Milan che non c'è più
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Salvate il Milan che non c'è più

Dall'ultimo anno di Berlusconi (2015) ad oggi (2020), i numeri ed i motivi di un disastro annunciato e che sembra essere senza fine

Negli ultimi quattro anni e mezzo della sua vita il Milan ha bruciato 468 milioni di euro: 285.200 per ciascuno di 1642 giorni vissuti pericolosamente, dall'ultimo Berlusconi (anno 2015) al primo Elliott (2019). Raccogliendo pochissimo in campo e ancor meno a livello societario, attraversando due passaggi di proprietà, almeno quattro trattative per le quote di maggioranza e facendo nascere e poi abortire non meno di 5 progetti tecnici in 5 anni.

Rangnick (o chi per lui) sarà il nono allenatore dell'era post-Allegri e il quarto da quando Elliott è subentrato a Yonghong Li, ovvero dal 21 luglio 2018 che significa meno di due anni fa. Arco di tempo in cui, dopo essere transitato dalle mani di Galliani (prima da solo e poi in coabitazione con l'advisor Gancikoff, ricordate?) a quelle del duo Fassone-Mirabelli, il Milan è stato affidato nell'ordine a Leonardo, Leonardo e Maldini in coppia, Boban-Maldini-Massara e, infine, il trio senza Boban licenziato per giusta causa. Rangnick o chi per lui, nella veste di responsabile dell'area tecnica, sarà il quarto progetto sportivo in 24 mesi. Nessuna azienda, non solo calcistica, riuscirebbe a sopravvivere a un simile vortice nel suo cuore strategico e infatti il Milan non sta sopravvivendo.

Lo testimoniano i 142 punti di distacco incassati dalla Juventus (31 di media a stagione) dal 2015 di cui 49 (in 64 partite) nell'era Elliott. E lo testimonia il clima da regolamento di conti in cui si trova la società, una sorta di tutti contro tutti preventivo nel quale brilla il silenzio della proprietà e l'autolesionismo nel gestire l'ennesima fase di passaggio rispettando chi lavora oggi (Maldini-Massara-Pioli) senza rinunciare a progettare il futuro.

Che il Milan abbia scelto di cambiare allenatore e dirigenza non è una colpa ma semplicemente la presa d'atto dei fallimenti precedenti. Sui quali in realtà andrebbe aperta una parentesi, posto che l'estate scorsa Boban e Maldini segnalarono a più riprese che l'idea del gruppo giovane e pieno di tanti da valorizzare mal si sposava con l'obiettivo di tornare in zone consone della classifica. Allora il compromesso del mix con qualche anziano non fu accettato e però la colpa viene fatta comunque cadere sui dirigenti operativi e non su chi impostò la linea societaria.

Il problema, però, è che tra silenzi, gaffes e omissioni, il vecchio e glorioso Milan pare avviato a replicare gli errori delle ultime stagioni senza farne tesoro. Se il progetto degli under 25 è naufragato alla prova del campo, perché dovrebbe andare meglio quello degli under 23 con tetto di ingaggio da metà classifica? E dopo aver tentato la rivoluzione con Giampaolo, scoprendo che non sempre le scommesse pagano, può essere un profilo come quello di Rangnick l'approdo cui consegnarsi acriticamente? Anche accettandone le strategie comunicative di queste settimane, sacrificando sull'altare del manager tedesco (anni 61 e un curriculum non strepitoso) prima Boban e poi Maldini, cioè gli ultimi legami rimasti con il passato rossonero?

Prendersela con la verbosità di Rangnick non è sufficiente, però. Perché anche da dentro il lavoro di certosina demolizione non è mancato. E' stato il presidente Scaroni, lo stesso dell'annuncio delle positività al Covid che poi non c'erano, a dire apertamente che il prossimo Milan avrà un progetto "mai visto in Italia". Con tanti saluti a Pioli.

C'era una volta un Milan in cui le esternazioni di Berlusconi, spesso dirompenti e destabilizzanti, erano mediate dal filtro quotidiano di Adriano Galliani. E che mai avrebbe accettato che dipendenti presenti e a maggior ragione futuri potessero andare in libera uscita senza controllo, senza ribattuta, senza protezione e senza filtri. In poche parole, senza che qualcuno alzasse la mano per mettere un freno, ricordare a tutti quello che è stato e deve tornare a essere il Milan, far presente che restare sulla strada dei 285.200 euro bruciati al giorno porta dritti al burrone, non al sentiero stretto, faticoso e in salita che riconduce alle altezze dove il Diavolo deve stare.

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Giovanni Capuano