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Courtesy Udinese
Calcio

"Il calcio sarà (anche) donna: vi spiego perché"

Magda Pozzo e la sua storia da dirigente dell'Udinese. In un mondo ancora maschilista ma che, dovendo riprogrammarsi per resistere e crescere, ha bisogno anche di competenze manageriali femminili

"Le faccio una premessa". Dica. "Mi piace dire che la mia fortuna è non capire di calcio e, quindi, di non esserne travolta dal lato emotivo". Parla così, Magda Pozzo, una delle donne del calcio italiano. Figlia del patron dell'Udinese e del Watford, da un decennio almeno inserita nei club di famiglia e sempre più "insider" (come ama definirsi) o "attiva" (come la definiscono gli altri). Per l'Udinese si occupa di stadio, partnership commerciali, iniziative ed eventi: quel mondo sommerso che fa la fortuna di una società come e a volte più di un pallone che rotola in rete o si ferma sul palo.

Non ce ne sono molte di donne nel football italiano, che resta ancora un ambito molto maschile, talvolta maschilista. Ma nell'epoca del nuovo boom delle calciatrici, anche le manager in rosa si stanno ritagliando un ruolo sempre più importante. E Magda Pozzo è stata chiamata a discutere della sua esperienza e degli scenari presenti e futuri davanti alla ribalta del World Football Summit, ribalta internazionale con platea (per quanto a distanza causa Covid) di altissimo livello.

Cosa ha detto al summit sulla leadership delle donne nel calcio?

"E' stata una bella esperienza, ne sono molto felice. Il nostro panel è stato programmato subito dopo l'introduzione del presidente della Liga Tebas e abbiamo messo in evidenza l'evoluzione della presenza delle donne in ruoli da leader del mondo del calcio"

Oggi esiste o non è ancora abbastanza?

"Non abbastanza, è ancora molto ridotto. Però le cose stanno cambiando. Ad esempio, quando io, che ho sempre lavorato nel gruppo di famiglia che si occupa di altro, mi sono introdotta nel mondo del calcio ho trovato un business molto emotivo, legato alla logica del risultato, poco strutturato"

Non è più così?

"C'è una grande opportunità perché si sono sviluppate aree e idee che dodici anni fa non c'erano, per esempio il concetto di stadio come incubatore di attività e iniziative, e in questo anche le donne possono giocare un ruolo importante. Il calcio sta diventando uno strumento per favorire anche altre aree di business in cui le donne possono spendere la propria grande professionalità"

Il calcio del futuro, altrove già del presente, è destinato a diventare donna?

"Si è evoluto perché non c'è più solo la dimensione sportiva ma si sta allargando ad altri settori, mille nuovi concetti che non dipendono solo dal risultato calcistico ma da strutture manageriali e creative in cui le donne hanno le stesse possibilità degli uomini"

Anche maggiori competenze a volte…

"Su alcuni aspetti certamente, perché abbiamo una sensibilità maggiore. Non capire molto di calcio diventa un punto a favore perché rende meno emotivi e più pragmatici nel comprendere le esigenze dei partner e di tutti i portatori di interesse verso un club"

Il calcio è ancora un mondo maschilista?

"Assolutamente sì. Per me rimane uno sport tecnico, fisico, maschile anche adesso che c'è la rinascita di un movimento femminile"

Ritiene un progresso che giovani generazioni invece si abituino a considerarlo uno sport anche al femminile?

"Certo che lo è. Le squadre femminili sono un valore aggiunto e aiutano anche nel rapporto con i nostri partner perché spingono a rendere il calcio un prodotto ancor più globale. Diventerà qualcosa di comune, come gli investimenti delle federazioni dimostrano. Un fenomeno mondiale"

Nel calcio italiano le dirigenti donne sono storicamente molto poche. Già l'idea che il pallone, trattato come un business normale, sia uno spazio aperto anche per la leadership femminile è un passo avanti

"Questo è il punto centrale, il mio obiettivo fin dall'inizio che ho perseguito sin da quando sono entrata nel mondo del calcio portandomi dietro il background da dirigente d'azienda. Noi dobbiamo dare un risultato a livello aziendale a prescindere dal risultato del campo, che resta centrale ma non può essere l'unico contenuto di un progetto. Il campo resta il cuore, non si può pensare diversamente, ma l'azienda deve svilupparsi con idee e innovazioni parallele al risultato. A Udine abbiamo un piccolo primato".

Quale?

"Siamo stati i primi a introdurre in Italia il naming rights dello stadio chiamando il nostro Dacia Arena. Cinque anni fa non c'era nessuno e questo mi rende orgogliosa anche se altrove in Europa sono molto più avanti di noi. Per Udine è stato un passo dal grande valore non solo economico perché significa aver ottenuto un riconoscimento internazionale in una città relativamente piccola (centomila abitanti). Lo stadio deve diventare una scatola incubatrice di idee, ricca di contenuti e da sfruttare in modo propositivo perché il calcio è una leva fondamentale che muove tutto ma che ha bisogno di essere vissuto 365 giorni all'anno. Facciamo tante attività ma dobbiamo ancora migliorare"

Lei non si occupa della parte tecnica, ma nei mesi scorsi non ha avuto problemi a prendere anche posizioni forti. Ad esempio parlando degli stipendi dei calciatori nel periodo del lockdown

"Penso che il calcio avesse la grande opportunità di dare un messaggio forte e, invece, siamo rimasti fermi. I calciatori sono ragazzi giovani, con grandi possibilità per il futuro e uno o due stipendi non avrebbero cambiato la vita. Ma poi ci sono gli interessi, le associazioni, i rappresentanti… Devo imparare a convivere con questa situazione, ma nella vita bisognerebbe guardare avanti e fare uno sforzo, dare anche messaggi positivi"

Lo stereotipo è quello del business dove ci sono ragazzi viziati e strapagati

"Sono ragazzi che seguono le direttive che gli vengono date da associazioni e procuratori, però trovo che in questo caso si sia sbagliato perché andava compreso il momento. Sono rimasta delusa dal sistema italiano perché era un'ottima opportunità di dare un messaggio univoco e positivo"

E' stato giusto fare di tutto per tornare in campo?

"Sì. Bisogna essere ottimisti. Il Covid ci ha insegnato a essere ancora più flessibili di quello che siamo in un settore che è legato ai risultati del campo, che già cambiano scenari. In questi mesi abbiamo imparato a cambiare strategie e idee anche ogni settimana. E' stato giusto ripartire e dobbiamo lavorare per preparare gli stadi ad accogliere nuovamente il pubblico perché così come adesso è desolante. Strutture sicure con protocolli sicuri: ecco l'obiettivo comune".

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Giovanni Capuano