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Ansa
Calcio

Juventus, tutte le colpe del fallimento

Allegri il gioco mai decollato ma anche le scelte societarie dell'ultimo triennio: dal 2018 speso oltre mezzo miliardo per sparire dall'Europa. E con i conti che spaventano anche in proiezione del prossimo anno...

Il tracollo della Juventus nella notte dell'uscita dalla Champions League per mano del Villarreal - la terza consecutiva agli ottavi di finale - segna il fallimento tecnico e societario di un progetto disegnato per tornare nelle prime otto d'Europa. E' il fallimento di Massimiliano Allegri, allenatore blindato da un contratto ricchissimo e riportato a Torino per gestire il nuovo ciclo, ma chiama in causa anche le responsabilità di chi guida il club perché, al di là dei demeriti nella doppia sfida con gli spagnoli, è il risultato della somma di errori strategici commessi nell'ultimo quadriennio.

E' come se l'idea di accelerare il processo di crescita della Juventus, agganciando il treno delle multinazionali europee, si fosse trasformato in un poderoso boomerang. Da quando Andrea Agnelli ha varato il nuovo corso, largo ai giovani e addio a Beppe Marotta e a chi con lui aveva costruito la striscia vincente, nulla è più andato per il verso giusto. Un cortocircuito pagato a carissimo prezzo, non solo per colpa del Covid che pure ha contribuito in maniera determinante ad aggravare la situazione.

Non trova corrispondenza tra investimenti e risultati quanto mostrato in campo dalla Juventus in questa stagione, non solo nella notte dell'umiliante 0-3 per mano della settimana squadra della Liga spagnola. Troppo divario per dare tutte le colpe all'allenatore, anche se l'etichetta da appiccicare è quella del "fallimento" nonostante Allegri accusi di disonestà intellettuale chi utilizza quel termine. Non è così e nemmeno un finale di stagione normalizzato potrà cancellare il disastro europeo.

Dal giorno dell'arrivo in Italia di Cristiano Ronaldo, simbolo del nuovo corso, la Juventus ha speso sul mercato oltre 550 milioni di euro solo guardando alle operazioni che hanno coinvolto giocatori da inserire in prima squadra. La logica delle plusvalenze non ha funzionato, ben prima di diventare anche motivo di imbarazzo per l'inchiesta della Procura di Torino. Mezzo miliardo di euro cui si devono sommare i (non pochi) soldi spesi per i vari Demiral, Pellegrini, Romero, Rovella giusto per citare alcuni nomi di operazioni senza immediato impatto sul progetto sportivo.

Non è normale che la proprietà abbia dovuto immettere capitale per 700 milioni di euro in meno di tre anni. Il Covid è stato uno tsunami ma non spiega tutto e, soprattutto, non giustifica il fallimento tecnico di una squadra entrata quasi per caso in questa Champions League e progressivamente sparita dall'orizzonte europeo e italiano. Sarri, Pirlo e adesso Allegri: nessuno è stato in grado di rimettere in linea di galleggiamento una barca che ha perso logica e qualità con il passare delle sessioni di mercato. L'architetto principale di questa Juventus, Fabio Paratici, è stato congedato la scorsa estate. Quella crollata con il Villarreal è anche la Juve degli Elkann, di Arrivabene e di Federico Cherubini, nuovo direttore dell'area tecnica: non si poteva chiedere di cancellare tutti gli errori in un colpo solo, ma anche quest'anno c'è il sospetto che molto denaro sia stato speso inutilmente.

A gennaio proprietà e club hanno rilanciato con la carta Vlahovic, operazione onerosissima che doveva garantire un impatto tecnico immediato. Il serbo è il futuro della Juventus, ma va detto con grande onestà che il livello non si è alzato perché intorno non gli è stato costruito nulla più del mediocre calcio mostrato fin lì senza di lui. Non sarà bruciato, però da Allegri (e senza essere tacciati di disonestà intellettuale) si deve chiedere conto del suo utilizzo. Così come si deve chiedere conto a chi in questi anni ha speso per i vari Kean, Arthur, McKennie e Kulusevski salvando Chiesa che a lungo è parso l'investimento più indovinato del mazzo.

La Juventus va ridisegnata dalle fondamenta. I prossimi mesi, però, dovranno anche dare risposte in alto perché non si può ignorare come un club praticamente perfetto abbia cominciato improvvisamente a macinare passivi di bilancio, risultati deludenti in campo e battaglie politiche che, ad oggi, non hanno portato nulla. E' incredibile, ad esempio, come la guerra per la Superlega sembri diventata una questione personale di Andrea Agnelli - il cattivo che gira per l'Europa - mentre nella realtà è stata ed è ancora anche la battaglia di Real Madrid e Barcellona, con altri 8 club alla finestra. La riflessione andrà fatta su tutti i livelli.

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Giovanni Capuano