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Calcio

Italia, tre lezioni per ripartire

Mancini resta alla guida per non buttare via tutto il lavoro fatto, modulo diverso e addio ai chi ha dimostrato di non tenere fino in fondo alla maglia azzurra. Partendo da chi ha lasciato Coverciano nelle ore della sconfitta...

L'Italia del calcio prova a ripartire mettendo insieme i cocci lasciati per terra, non solo metaforicamente, nella tragica (sportivamente parlando) notte di Palermo. Non sarà semplice e nemmeno breve, perché il percorso non presenta a breve occasioni di riscatto che possano anche solo lontanamente avvinarsi alla delusione di una seconda mancata partecipazione al Mondiale. Per capirci, non potrà esserlo la Nations League che scatta a giugno, nella quale la nazionale è inserita in un girone ad alto tasso di difficoltà con Germania, Inghilterra e Ungheria e rischia di non esserlo nemmeno l'Europeo del 2024 dove al massimo potremo riconfermarci.

La traversata del deserto fino al Mondale 2026 sarà, insomma, lunghissima e insidiosa ma la Federcalcio sta lavorando perché anche gli ultimi dubbi di Roberto Mancini siano spazzati. Il ct è pronto a proseguire il suo impegno con gli azzurri, metabolizzando l'amarezza della sconfitta e rilanciando su un nuovo progetto. In fondo non siamo all'Anno Zero come nel novembre 2017 dopo il ko di Ventura contro la Svezia: molto lavoro è stato fatto e di qualità, altrimenti non sarebbe arrivato il trionfo a Wembley nel luglio scorso pur frutto anche di un mese straordinario in cui tutto è andato bene.

Messo a posto il primo tassello, abbandonando soluzioni alternative che significherebbe dover ripartire da capo o con un tecnico nella fase finale della carriera (Ranieri), oppure con scommesse tutte da decifrare (Cannavaro e lo stesso Pirlo) o, ancora, andando a prendere un allenatore sul mercato dovendo verificare poi sul campo la sua capacità di adattamento ai ritmi della nazionale e questioni politiche che circondano la Figc, a partire dal rapporto sempre tormentato con i club, ecco che ci sono almeno un altro paio di lezioni da apprendere da questa primavera dolorosa.

Una riguarda lo spartito tattico che la nazionale dovrà cominciare a suonare. Mancini le ha dato un'identità nuova nel suo primo biennio e ha raccolto i frutti all'Europeo: palla bassa, qualità in campo simboleggiata dal doppio play, non un centroavanti fisico di riferimento ma un calcio da sviluppare in orizzontale per poi muoversi su linee di inserimento quasi tutte costruite in laboratorio. Molti dei problemi degli ultimi mesi sono sorti anche dall'assenza di Chiesa, perfetto all'Europeo come distruttore delle linee nemiche, e dalla condizione via via più scadente di Barella e non solo.

Quindi la seconda lezione è che Mancini deve cambiare qualche nome ma, soprattutto, dotare l'Italia di più alternative. Scamacca è il numero '9' del futuro, quello mancato fin qui. Tonali può essere un nuovo Jorginho ma con caratteristiche leggermente differenti. E lo stesso Zaniolo, che però sta facendo fatica a trovare spazio anche nella Roma, va inquadrato dentro uno schema che lo preveda perché la nazionale non può permettersi di fare a meno di uno dei suoi giovani più forti e di prospettiva.

Infine c'è la terza e ultima lezione da mandare a memoria. L'azzurro va amato sempre e comunque, in particolare nei momento più brutti. Se è vero che qualcuno di quelli che ha lasciato Coverciano nel post Macedonia del Nord (si sussurra Immobile, Insigne e Jorginho) lo ha fatto per libera scelta e non perché costretto da guai fisici, sarebbe utile che il Mancini bis ripartisse con un messaggio forte: non c'è spazio per chi non sposa la causa fino in fondo. Il ct ha steso un velo protettivo sui suoi giocatori ("Li ho obbligati io tanto sarebbero andati in tribuna" ha detto), ma è paradossale che siano rimasti giocatori non al meglio e che tra qualche giorno si giocheranno lo scudetto come juventini, interisti e milanisti, mentre altri abbiano preferito tornare a casa. Il tempo della riconoscenza è finito.

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Giovanni Capuano