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Il calcio riparte, ecco i retroscena del perché

Il Ministro Spadafora, dopo aver messo più di un freno, alla fine ha ceduto alla forza economica e politica di un movimento per una volta unito - IL PROTOCOLLO PER GLI ALLENAMENTI (DOCUMENTO)

Come un puzzle i cui pezzi vanno faticosamente a posto, uno dopo l'altro, anche se ogni tanto qualcuno si perde e costringe e a tornare indietro. La Serie A lavora per rimettere in piedi la stagione. L'obiettivo è sabato 13 giugno e rimane tale anche dopo la scoperta di una tessera (il testo dell'ultimo decreto firmato da Conte) non si incastrava nel disegno. La proroga dello stop alle manifestazioni sportive fino alla mezzanotte del 14 giugno - i vertici del calcio - l'hanno scoperta leggendo tra le righe del provvedimento ed è stato come rimettere indietro le lancette dell'orologio di qualche ora. Senza, però, cancellare tutto il lavoro fatto.

Non è un caso che il via libera (preventivo) sia arrivato nel pieno della conversione della politica sul tema del pallone: "L'Italia riparte, è giusto che riparta anche il calcio": ha detto il ministro dello Sport, Spadafora, rimangiandosi settimane di battaglia all'opposizione: "Sarebbe stato più facile fare come la Francia, e dire che il campionato era finito. Sono stato dipinto come il nemico del calcio, all'inizio mi ha dato fastidio, ora mi fa sorridere"

C'è un prima e un dopo nel furioso corpo a corpo in cui il calcio italiano è impegnato dall'8 marzo scorso. Un teatrino con tanti protagonisti e un attore che da centrale è diventato spalla. C'è un prima e un dopo nel modo con cui Spadafora, interfaccia del pallone e nemico giurato della sua spinta al ritorno in campo, ha parlato e pensato alla Serie A. E' successo tutto a cavallo tra il divieto a tornare nei centri sportivi (cancellato d'imperio dai governatori del Pd e dal Viminale) e il fine settimana in cui la Germania ha mostrato al mondo che giocare a calcio si può anche nell'era della pandemia.

IL PUZZLE DELLA POLITICA

Spadafora non ha smesso di essere convinto che il calcio debba fermarsi. Ha semplicemente compreso di essere finito politicamente in un vicolo quasi cieco, stretto tra i distinguo della sua stessa maggioranza e il peso di una scelta - staccare la spina alla Serie A - sempre meno giustificabile nel contesto di un Paese in ripartenza. Lo ha detto ai suoi interlocutori e poi spiegato in tv o sui social, arrivando a sdoganare persino la data del 13 giugno seppure nell'impossibilità di dare ai padroni del calcio le certezze richieste.

Alla fine sarà il premier Conte a fare la sintesi, scavalcando il suo ministro (per quanto pubblicamente elogiato) e i pareri dei tecnici e degli scienziati il cui ruolo sta rapidamente riducendosi con l'allontanarsi dell'emergenza acuta. Riaprirà certamente la Serie A? Non è detto, ma la posizione preconcetta e anche un po' demagogica del "cosa vogliono questi ricchi viziati, abituati a vivere al di sopra delle regole" è ormai superata.

IL FUOCO AMICO

Sulla strada della ripartenza restano anche le insidie del fuoco amico. I club che non vogliono tornare in campo continuano a esserci e a lavorare nell'ombra. Nulla di ufficiale, anche perché rompere il fronte significa presentarsi meno forti nella vertenza con le televisioni che si trascinerà in tribunale, però un lavoro ai fianchi. Ha sorpreso più di un dirigente l'alzata di scudi venerdì in Lega, affossando il protocollo faticosamente costruito con critiche su punti che erano noti da settimane.

E anche la posizione dei calciatori, prima contro il taglio degli stipendi, poi pronti a ripartire, quindi in prima linea nel ricominciare ad allenarsi ma contrari a due settimane di ritiro (come se non fosse pratica nota) e, infine, ancora perplessi sulla questione economica e ufficiosamente 'spaventati', non è di facile lettura. Il ministro Spadafora ha rivelato che molti gli scrivono in privato. La sua sensazione è che il calcio vorrebbe fermarsi ma non avrà mai il coraggio di deciderlo e chiede alla politica di staccare la spina, illudendosi di poter così socializzare le perdite (taglio di stipendi e benefici vari), privatizzando gli utili (soldi delle tv da incassare).

LE REGOLE DA SCRIVERE

In mezzo c'è il lavoro di trincea per evitare ogni trappola. Sul tavolo dei tecnici - medici e dirigenti federali - restano un paio di nodi irrisolti, non di più. Uno è la possibilità di lavorare tornando a casa in sicurezza e l'altro quello di gestire l'eventuale positività di un calciatore senza fermare tutto. E' un esercizio di estrema pazienza quella di comporre il puzzle senza dimenticare nulla, neppure il contesto. Quello che un mese fa era impensabile, adesso è realtà: allenarsi con il pallone e in piccoli gruppi, forzando al massimo le linee guida esistenti. Quello che oggi sembra irrealistico, a fine maggio potrebbe diventare progetto concreto.

Ad esempio cancellare la quarantena obbligatoria, vera ipoteca sull'opportunità di chiudere tutto senza arrivare in fondo. La scommessa è questa, contornata dalle scelte sugli scenari eventuali: tenere in piedi l'opzione playoff, chiarire che in caso di lockdown ci saranno retrocessioni, prendere tutto il tempo necessario con la sponda anche della Uefa che continua a spostare in là la data in cui mettere sul tavolo il progetto definitivo. Ora siamo al 17 giugno, ma la Serie A (insieme a Liga e Premier League) spera per qual giorno di aver visto di nuovo rotolare il pallone.

Un passo alla volta è il motto. Con la consapevolezza che la montagna da scalare è ancora alta, i rischi presenti, ma anche che la fase più dura è alle spalle e fermare il calcio non è più - come prima - un'opzione politicamente ed economicamente favorevole. La sensazione che si navighi a vista è corretta. Ma rispetto alla nebbia di Pasqua, almeno adesso una traccia verso il porto della ripartenza si vede in fondo all'orizzonte.

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Giovanni Capuano