Il ritorno di Berlusconi: perché no?
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Il ritorno di Berlusconi: perché no?

Tutti i buoni motivi che hanno spinto il Cavaliere. Ma la vera domanda però è un'altra. Se non lui, chi?

Permettete una domanda. Perché Berlusconi dovrebbe “farsi da parte”? Se le primarie del centrosinistra fossero state vinte da Matteo Renzi, capace di attingere al bacino di centrodestra per aggiungere voti e consenso al suo progetto liberale di sinistra, certo Berlusconi avrebbe già deciso di non ridiscendere in campo. Renzi avrebbe vinto facile...

Invece, il simpatico e (poco) progressista popolo di centrosinistra ha preferito tenere in campo il Cavaliere con quel 60 per cento di schede contro il sindaco di Firenze. Pier Luigi Bersani, ex Pci, pluri-ministro e presidente di Regione, segretario del Partito democratico, prima di volare in Libia (chissà poi perché in Libia) ha pensato bene di festeggiare la vittoria al Teatro Capranica di Roma assieme al trio di finti giovani cooptati alla guida del sui Comitato, a pugni chiusi e orgogliosamente alzati. Beh, ma in Italia esiste da sempre più della metà del potenziale elettorato che non gradisce il pugno chiuso e chiede di meglio, soprattutto adesso, e aspetta solo di convogliare sul candidato più forte tra i moderati la sua paura (dei post-comunisti) e la sua speranza (di rinnovamento).

A Berlusconi molti chiedono di fare “un passo indietro”, l’ennesimo dopo le dimissioni da presidente del Consiglio e dopo la fiducia del suo partito di maggioranza relativa (per nulla dovuta) a un governo tecnico guidato da un bravo professore bocconiano designato dal capo dello Stato ma privo di investitura popolare. Per inciso, dopo un anno quel governo ci ha ridotto in condizioni più grame che sotto Berlusconi.

Nel frattempo, il Cavaliere aveva fatto già un passo indietro all’interno del Popolo della Libertà, a favore di Angelino Alfano acclamato segretario su sua proposta. Alfano si era assunto il compito di svecchiare, rinnovare e rilanciare il partito. Lo ha fatto? Il Pdl di oggi è diverso da quello di ieri o dell’altroieri? È cambiato qualcosa nella nomenklatura? La classe dirigente si è arricchita di forze fresche, giovani, meritevoli? La democrazia interna è aumentata? Si è potenziata la capacità di dialogo e mobilitazione, non con i coordinatori o capigruppo o capidipartimento o dirigenti locali, ma con linfe nuove della cosiddetta “società civile”, con i giovani, con quelli che a ragione si sono sentiti traditi nelle aspettative liberali dal Pdl e dalla sua classe di governo? Si è mai usato un linguaggio diverso dal politichese o ci si è mai concentrati su temi che importassero davvero a tutti noi?

E, infine, Alfano o chiunque altro nel centrodestra si è mai imposto con la forza propulsiva innovatrice di un Renzi a sinistra, di un Grillo, persino di un Bersani che ha accettato e corso nelle primarie, o di Berlusconi che ha dimostrato, nonostante l’accerchiamento politico e mediatico-giudiziario, nonostante l’età e nonostante l’infedeltà di molti suoi (ex) pupilli, di essere ancora il più capace di interpretare gli umori del suo popolo? Chiedendo scusa come dovrebbe fare, per fondare una lista nuova non di amazzoni o improbabili imprenditori, ma di persone che vogliono cambiare il paese, proiettarsi in modo costruttivo in avanti, che credono nel progetto di una moderna economica liberale fondata sul merito.

Perché Berlusconi dovrebbe rinunciare a candidarsi? O, in alternativa, a essere il mentore di un progetto autenticamente nuovo? Quale perversa idea della democrazia imporrebbe al Cavaliere di spezzare quel legame che a dispetto di tutto mantiene con la cosiddetta “maggioranza silenziosa”? Tutti i sondaggisti concordano che un Pdl a cui si aggiunga in spirito di collaborazione una nuova Forza Italia ispirata da Berlusconi e composta di figure e volti nuovi, sarebbe l’offerta di maggior successo e efficacia per un elettorato di centrodestra, in grado di contrastare la sinistra bersanian-vendoliana da un lato, il velleitarismo populista telematico e inconcludente di Grillo dall’altro.

Non sarebbe uno spacchettamento tra Forza Italia e Ex An, ma come una rinascita, che non distrugge il passato ma non si preclude il futuro. Ripeto: perché mai Berlusconi dovrebbe ritirarsi? Per fare spazio a chi? A cosa? Si faccia davvero avanti qualcuno che non abbia bisogno di andare a piatire a Palazzo Grazioli il “gran rifiuto” per legittimarsi, che abbia la forza morale e politica di correre da solo in nome e per conto dell’Italia liberale. Perché dev’essere Berlusconi a “farsi da parte” e non altri a “farsi avanti” (sempre che ne siano capaci)?

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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