La "pacatezza" di Berlusconi
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La "pacatezza" di Berlusconi

Mentre attorno regna l'agitazione (tra la Cassazione, i falchi e la rabbia) lui ha scelto di abbassare i toni. Ed ha ragione, ancora una volta

Calma e gesso. Anzi, calma e gessato. C’era chi scommetteva sui tempi di reazione di Silvio Berlusconi dopo il braccio di ferro di arringhe e legittimi impedimenti e la staffilata continua di condanne e corse a cronometro dei magistrati per condannarlo definitivamente alla galera dopo vent’anni di inseguimento e perseguimento. Invece il Cavaliere mostra l’altra guancia, si accredita come statista invece di affidarsi alla caratteriale over-reaction che abbiamo conosciuto in altre occasioni. Preferisce la via dell’under-reaction. Un abito che solo per chi non lo conosca risulta sorprendente.

Berlusconi, infatti, ha due anime: una rivoluzionaria e l’altra istituzionale. La prima gli ha consentito di conquistare il potere, l’altra di amministrarlo. Entrambe, di conservarlo.  

I magistrati lo crocifiggono pubblicamente per le serate “burlesque” ad Arcore con Ruby & co., altri fanno a gara per comminargli pene maggiori di quelle richieste dall’accusa. Spuntano a ogni angolo nuove rivelazioni sull’apertura di altre inchieste o sul possibile coinvolgimento di Berlusconi in vicende che fioriscono a tutte le latitudini e in ogni ambiente. Da Lele Mora a Lavitola. Il Cavaliere deve pur essersi chiesto come sia possibile tanta intransigenza al limite della persecuzione, nonostante la moderazione delle sue ultime scelte politiche: a fianco del governo, leale con il premier Letta, obbediente alle road map disegnate dal presidente Napolitano.

Il Cavaliere in privato dev’essere furente, incontenibile, duro. Ma quando si tratta di esprimere una posizione, evita videomessaggi, sfoghi, anatemi e brontolii. Addirittura, esce dalla maschera trita e parzialmente giustificata della vittima. I falchi del Pdl volteggiano, stridono, urlano contro giudici e governo, danno voce alla cupa ribellione del Capo. Ma Berlusconi, lui, viaggia su un’altra frequenza.

Non lo si può neppure definire una colomba. Semplicemente, sorvola il frullare di ali e sangue nel partito e tiene fermo l’obiettivo di puntellare il governo. Stabilizzare il sistema. Giura lealtà all’esecutivo che lui stesso ha voluto e che adesso non vuole sabotare. Più che gettare acqua sul fuoco, sembra ignorare quello scorrer di fiumi di benzina che potrebbe accendersi con una parola, un cerino.

Invece di fuoco e fiamme, pur intercettato da Agorà vicino al Pantheon di notte, Berlusconi distilla frasi di perfetta sensibilità istituzionale. Il Cavaliere non cede alla rabbia, alla tentazione di spaccar tutto. Gli conviene così, si dirà: dovrebbe scavarsi la fossa con le proprie mani? Ma la domanda è: in altre occasioni non l’ha fatto? Lo avete mai visto un Berlusconi così gessato e contenuto? Così a lungo? Se non è la pace prima della tempesta, si dovrà concedergli una capacità non scontata d’incassare colpi e respingere la tentazione di Sansone: morire con tutti i filistei. È questo il suo modo di non arrendersi.   

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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