È lo strapotere delle toghe la vera anomalia italiana
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È lo strapotere delle toghe la vera anomalia italiana

Con la condanna di Berlusconi la magistratura condiziona il nostro futuro politico. Con sentenze spesso smentite dal successivo grado di giudizio. Processo Mediaset - Tutti i processi a B. - E il web sfotte

Berlusconi condannato in appello, quindi. A quattro anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici. Non ancora in via definitiva: si attende il verdetto della Cassazione. Nel 1994, la divulgazione a mezzo stampa (non tramite messo giudiziario) di un avviso di garanzia all’allora neo-presidente del Consiglio, lanciato sui quotidiani mentre Berlusconi presiedeva a Napoli un vertice internazionale sulla criminalità, provocò il disimpegno della Lega dalla maggioranza e la caduta di un governo che prometteva la “rivoluzione liberale”.

All’epoca il centrodestra era animato da ottime intenzioni e dall’entusiasmo di un nuovo inizio. Forse si sarebbe potuta avviare una stagione di riforme che non è stato più possibile, o non si è stati più capaci, di realizzare negli anni successivi. Berlusconi molto (troppo) tempo dopo, risultò innocente in quella vicenda. Ma intanto era cambiata la storia d’Italia. Da allora, il Cavaliere è stato al centro di un numero spropositato di inchieste, intercettazioni, violazioni della privacy e del segreto istruttorio, interrogatori e processi. Difficilmente l’attenzione riservatagli può esser considerata normale.

È piuttosto evidente che nei suoi confronti c’è stato un accanimento. In più occasioni abbiamo assistito a un’ingiusta applicazione di due pesi e due misure. Oggi la sentenza di Milano sui diritti tv mette a rischio il governo, anche se il Cavaliere per primo ha messo (finora) la sordina alle reazioni dei suoi stessi parlamentari e esponenti di partito. Forse più complicato sarà per il Pd (incalzato da Sel e dal Movimento 5 Stelle) sostenere l’urto d’opinione di una base che non vuole l’alleanza col Pdl e considera “impresentabile” questo esecutivo di “servizio al Paese”.

Insomma, ancora una volta pesa sulla vita della Repubblica il controverso esercizio del potere giudiziario. Che incide sulla vita delle persone come su quella dei governi. Con un’anomalia enorme: a dispetto del referendum sulla responsabilità dei magistrati, la loro effettiva totale “irresponsabilità”. La loro impunità di fatto, dal punto di vista giudiziario e disciplinare, per gravi negligenze e uso strumentale del codice penale.

Se un ingegnere sbaglia i calcoli di un ponte e il ponte crolla, l’ingegnere finisce nei guai. Rischia il carcere. Lo stesso vale per il medico che sbaglia diagnosi, il chirurgo che incide male, il poliziotto che spara senza una vera necessità, il giornalista che non verifica le fonti e diffama, il funzionario che omette o ritarda il controllo sulla stabilità di un edificio e l’edificio crolla… Vige un principio generale di responsabilità professionale che nel caso di funzionari dello Stato è reso ancora più stringente dalla funzione pubblica. Naturalmente, quando succede qualcosa che impone la ricerca delle colpe interviene la magistratura, non un giurì privato. Perché è ovvio che se l’ingegnere fosse giudicato da altri ingegneri, il medico da medici, il poliziotto da poliziotti, il funzionario pubblico dai colleghi di scrivania, andrebbe in fumo la garanzia stessa di una corretto giudizio. L’interesse corporativo minerebbe alla radice la possibilità di individuare le colpe e emettere un verdetto imparziale. Ebbene, questo principio vale per tutte le categorie tranne che per i magistrati. Che sono più uguali degli altri. Più autonomi e totalmente fuori da qualsiasi controllo democratico. Arroccati nella difesa corporativa che tutela non l’indipendenza, ma il privilegio di giudicare se stessi. Con il risultato che non rispondono dei propri errori e nei rari casi in cui questi vengono accertati paga lo Stato. E siccome poi l’uomo non è buono per natura, ma ogni individuo in qualsiasi posizione (tanto più in quelle elevate) è tentato dal potere, non si può escludere che singoli magistrati protetti dalla corporazione possano utilizzare la toga per realizzare un ideale politico, una vendetta personale, un disegno di potere individuale o collettivo. Già di per sé questa è una potenziale minaccia per la democrazia, se non c’è il contrappeso dell’obiettività di giudizio e della relativa sanzione.

In Paesi come la Francia la magistratura è soggetta a maggiori controlli anche da parte della politica (che se non è degenerata anch’essa, in teoria rappresenta la comunità dei cittadini), mentre negli Stati Uniti i giudici sono scelti dai cittadini e fanno testo i precedenti giudizi, secondo una tradizione che è insieme democratica e pragmatica. In Italia, invece, la casta della magistratura può temere solo se stessa.

Per quanto ancora dovrà pesare questo anacronistico macigno sulla nostra democrazia e sulla storia d’Italia?  

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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