Barack Obama, il riluttante guerriero che amava la pace
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Barack Obama, il riluttante guerriero che amava la pace

Il paradosso dell'uomo arrivato alla Casa Bianca perchè contrario alla guerra e che ora, invece, usa gli stessi metodi del suo contestato predecessore. Lo speciale

La carriera politica di Barack Obama è stata costruita sul no alla guerra. Il suo intervento nel 2002 contro l'invasione dell'Iraq divenne il trampolino di lancio per il keynote speech, il discorso alla convention democratica del 2004, quando John Kerry correva per la Casa Bianca contro George W.Bush; a sua volta, il successo di quel discorso gli permise di diventare una star della politica nazionale statunitense, avere quel consenso e seguito che nel 2008 gli fece vincere le elezioni presidenziali sulla base di due promesse: far ripartire l'economia e fare uscire l'America da due guerre. Afghanistan e Iraq.

Il Premio Nobel, Barack Obama lo vinse per quello che aveva fatto per la causa della Pace ma soprattutto per quello che doveva ancora fare; per essere stato il simbolo di quel movimento internazionale che era contrario alla guerra in Iraq, e per tutte le altre scelte in favore della distensione internazionale che avrebbe potuto fare nel suo ruolo di capo della prima potenza mondiale.

Il suo bilancio da quando è entrato nello Studio Ovale parla di una promessa mantenuta, il ritiro dall'Iraq; un'altra mantenuta a metà, l'Afghanistan, e di una guerra (lampo) lanciata contro Muhammar Gheddafi, vinta senza far scendere (almeno ufficialmente) sul terreno libico alcun soldato americano.

E, ora, arriva la Siria. Un'altra avventura bellica che Obama avrebbe volentieri evitato, ma che invece dovrà (dovrebbe) affrontare. Ad alcuni anni di distanza, dopo un lustro passato nella stanza dei bottoni, Barack Obama si è trasformato -  probabilmente suo malgrado e grazie al ruolo -  da sobrio, ma convinto pacifista in un riluttante guerriero.

Costretto ad attaccare in Siria per non perdere la faccia

Come ha detto Eliot Cohen, un docente della Scuola di Studi Internazionali della Johns Hopkins University, è stato lo stesso Obama a mettersi con le spalle al muro: "Per due anni ha fatto di tutto per evitare di rimanere coinvolto nel conflitto siriano, poi, quasi casualmente ha lanciato una sorta di ultimatum  e ora è costretto a essere fedele alla parola detta."

Ci sono politiche (di sicurezza nazionale) senza ideali, ma in questo caso sembra il contrario: ideali (umanitari) senza una politica (di sicurezza nazionale). L'intervento militare contro Assad sarà limitato e dovrebbe servire a convincerlo a non usare più le armi chimiche contro i civili e l'opposizione armata. Non c'è l'obiettivo politico di rovesciare il regime di Assad e di far vincere i ribelli. Al massimo, di ritornare a un equilibrio di forze tra le due parti in lotta.

L'America di Obama batte un colpo in Siria senza alcuna speranza (o volontà) che sia quello risolutivo. Ma solo perché deve farlo. Per via di quella "immorale oscenità" che ha compiuto Assad gasando i civili, come ha detto John Kerry. Perché Obama ha detto che Assad deve essere punito.

Gli analisti e i commentatori statunitensi vedono in tutto questo una pericolosa confusione di obiettivi politici, una mancanza di lucidità nelle strategie da seguire, un'assoluta incapacità di governare i processi internazionali da parte della Casa Bianca di Obama. Nulla di utile per gli interessi Usa nell'area.

Il cittadino media, dicono i sondaggi, invece, ci vede un altro possibile conflitto. E non lo vuole. Da buon politico, Obama conosce il sentimento dell'opinione pubblica. Sa che la maggioranza era contraria al dare le armi ai ribelli e, tanto di più, è sfavorevole a un intervento armato. Ma, lui quella dead line l'aveva tracciata: aveva detto che se fossero stati usati i gas avrebbe dovuto intervenire. Non può rimangiarsi la parola. La sua presidenza perderebbe ogni credibilità. Per gli Usa sarebbe un disastro diplomatico. Farà la mossa, sperando che basti.

Quando Obama attaccava Bush per la guerra unilaterale

E per una nemesi della Storia, Barack Obama adotta oggi gli stessi metodi che ha usato il suo predecessore. E che lui ha sempre contestato. Come per la guerra in Libia, anche per il blitz sulla Siria, il presidente non sembra essere intenzionato a chiedere l'autorizzazione al Congresso. Quando lanciò l'attacco contro Tripoli, la Casa Bianca si giustificò dicendo che il passaggio davanti al parlamento non era necessario perché non si trattava di una guerra vera e propria, ma di un'operazione di polizia internazionale (questa in sintesi, la giustificazione).

Sarà lo stesso per la Siria? Probabilmente si. Nel 2007 l'allora senatore Joe Biden minacciò di chiedere l'impeachment per Bush se il presidente avesse lanciato un attacco contro l'Iran senza il segnale verde del Congresso. Sei anni dopo, le carte in tavola cambiano. E'che vero che la Libia 2011 non è l'Iraq 2003 e (il possibile) Iran 2007 non è uguale a Siria 2013 (come contesto politico e come portato dell'operazione militare), ma è il principio che dovrebbe sempre prevalere.

Dopo il no del parlamento britannico a un intervento militare senza l'autorizzazione dell'Onu (che non arriverà mai perché Cina e Russia sono contrarie), Barack Obama si trova di fronte a un altro parodosso della storia: ordinare un attacco unilaterale. Lui, che era stato uno dei più forti critici all'unilateralismo di Bush all'epoca dell'Iraq; lui, che aveva promesso di mantenere la politica estera e di sicurezza degli Stati Uniti nell'ambito di un multilateralismo che avrebbe dovuto avere il suo compimento nelle decisioni unanimi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, andrà invece all'assalto da solo e isolato.

In più, ad aggravare il quadro dei paradossi, c'è la questione che finora Barack Obama non avrebbe la smoking gun, la pistola fumante, la prova definitiva che sia stato Assad ad ordinare l'attacco con le armi chimiche. Una situazione che ricorda le settimane che precedettero l'invasione dell'Iraq, quando l'amministrazione Bush tentò di dimostrare con prove poi rivelatesi false che Saddam Hussein avesse a disposizione armi di distruzioni di massa pronte all'uso.

Questa contraddizione è il prezzo che devi pagare quando sei costretto a trasformarti da sobrio, ma convinto pacifista in un riluttante, ma a questo punto anche solitario guerriero.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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