La guerra dei bambini al Cairo
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La guerra dei bambini al Cairo

Sono in prima fila, pronti a morire, consapevolmente e per colpa dell'istinto di morte - le immagini - il sondaggio - i Fratelli Musulmani, scheda -

dal Cairo - Luca Gambardella - per "East"

In prima linea, lì dove anche ai più grandi tremano le gambe, dove senti la bocca asciutta e allerti tutti i tuoi sensi. Dove il futuro non dipende che dalle ciniche decisioni altrui. Loro sono lì, con la leggerezza propria di un bambino di appena 13 anni.

Nel caos del Cairo delle ultime settimane, dove vince chi si immola sull’altare delle rispettive inossidabili ragioni, è facile confondere vittime ed eroi. I bambini che sono morti negli ultimi anni in Egitto, coinvolti nella guerra dei grandi, rientrano tra i fenomeni più controversi di questo paese alla deriva.

Il coinvolgimento di minori nei combattimenti del Cairo è paradigmatico del sovvertimento di ogni principio riconosciuto e incontrovertibile; anche quello dell’innocenza e della fragilità propria dell’infanzia. I bambini sono diventati combattenti per poi trasformarsi in martiri. «Siamo qui per nostra scelta. Vogliamo dare voce a nostro padre» mi aveva detto Ahmed, 13 anni. Lo avevo incontrato a Rabaa al-Adaweyya appena un giorno prima della strage di mercoledì scorso. Migliaia di morti sotto i colpi dei fucili dell’esercito e della polizia. In poche ore l’accampamento era un inferno avvolto dalle fiamme. Chissà dove si trova ora Ahmed, insieme al suo amico, Mohammed, anche lui tredicenne. Mangiavano un panino all’ingresso dell’ufficio stampa della “cittadella” costruita dai Fratelli Musulmani. «Mio padre? Lui sa dove sono adesso. No, non ho paura di morire» mi disse senza nessuna pretesa di fierezza, senza alcuna volontà di sorprendermi. Quella è propria dei più grandi, di quelli che sanno cosa sia la paura.

Sono stati scritti molti articoli, reportage e quant’altro in questi giorni su quanto sta accadendo qui in Egitto ultimamente. Uno di questi ha tentato di analizzare lo sconvolgimento valoriale e psichico che attanaglia il popolo egiziano. L’autore è, non ha caso, uno psichiatra arabo, Ali Salem, che dalle colonne di Asharq AlAwsat, si è soffermato sul principio di piacere in rapporto all’istinto di morte.

Salem afferma che un bambino, al contrario di un adulto, è portato spontaneamente alla ripetizione di un’azione che gli ha generato del piacere. Per quanto tale principio non sia dominante nella mente degli uomini, l’istinto di perseguire il piacere si contrappone, ovviamente, all’istinto di morte. L’estremo sacrificio della propria vita nel nome di un’idea, giusta o sbagliata che sia, comporta secondo Salem uno sconvolgimento radicale: è l’istinto di morte che genera piacere. Lo si vedeva nei bambini-martiri di Rabaa, ma anche nei bambini-combattenti di piazza Tahrir, che mesi fa sfidavano le pallottole della polizia in prima linea lanciando sassi.

Per questo, forse, Ahmed e Mohammed, mi parlavano della morte con dolcezza e naturalezza.

La storia di ragazzini come loro è stata diffusamente trattata dai media egiziani. “I Fratelli Musulmani usano i bambini come scudi umani” titolavano eloquenti i giornali. Le prove risiedevano in un video che circolava su internet e una foto scattata presso il sit in di Rabaa qualche settimana fa. Erano ritratti bambini vestiti in bianco che marciavano in fila con un cero in mano, come martiri. Nessuna prova che fossero usati come veri scudi umani, tuttavia. Si sospettava che i Fratelli Musulmani arruolassero bambini con o senza il consenso delle loro famiglie, in gran parte povere, disposte ad accettare poche decine di sterline per “prestarli” al sit in di Rabaa. Una vera bomba mediatica nel contesto della propaganda pro-esercito successiva al colpo di stato del 30 giugno. Ma che non spiega il coinvolgimento di bambini come Ahmed e Mohammad, “che volevano dare voce ai loro padri”.

Salem afferma che i Fratelli Musulmani, sponsorizzando i sit in di protesta hanno architettato una “trappola per la morte” per coloro che vi hanno aderito: dall’aria di festa che vi si respirava per la fine del Ramadan si è passati alla guerra in pochi giorni. E’ l’immagine di un popolo ingannato, quella che coglie nel segno. Ma che non riguarda solo i Fratelli Musulmani, bensì l’intero popolo egiziano, ingannato dallo stesso leader carismatico di cui erano strenuamente alla ricerca. Gli egiziani hanno dichiarato guerra a se stessi, in realtà, intraprendendo un sentiero dal quale difficilmente potranno uscire nell’immediato futuro. Con loro, portati per mano, ci sono anche Ahmed e Mohammad e con loro chissà quanti altri bambini, che parlano con dolcezza della morte.

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