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Attentato di Istanbul. Cinque cose da tenere a mente

La nuova fase della Turchia, il Ramadan, forze e debolezze dello stato islamico. Ecco che cosa c'entrano con la strage dell'aeroporto

Primo, esso avviene in Turchia esattamente nel momento in cui il governo di Ankara apre una delicata fase di dialogo con Russia e Israele sul futuro della regione mediorientale, fase nella quale il presidente Erdogan e il nuovo premier Yildirim tentano di ripristinare le relazioni diplomatiche per evitare l’isolamento della Turchia e riposizionare Ankara in vista di un futuro assetto politico della regione. Gli sforzi del governo puntano a ricucire gli strappi seguiti tanto all’abbattimento del jet russo sui cieli turco-siriani (allo scopo di ristabilire gli scambi commerciali con Mosca) quanto all’incidente del 2009 della Mavi Marmara, quando la nave battente bandiera turca tentò di forzare il blocco di Gaza e venne presa d’assalto dalle forze speciali israeliane (allo scopo di tornare ad avere voce in capitolo sui delicati accordi per un nuovo assetto geopolitico del Medio Oriente).

Secondo, è il decimo attentato in Turchia in soli sei mesi, che ha portato le vittime totali ad almeno duecento, tra civili falcidiati dalle bombe in piazza e convogli di soldati fatti saltare in aria dalle forze ribelli del PKK, braccio armato della compagine curdo-siriana che combatte per l’indipendenza e la creazione di un Kurdistan autonomo. Anche lo Stato Islamico ha contribuito ad almeno una parte di questi attentati, in ragione della stretta del governo che ha sigillato il confine turco-siriano per evitare infiltrazioni e traffici da e verso il Califfato anche attraverso operazioni militari e bombardamenti sul confine, fatto questo che ha indebolito non poco l’ISIS. Almeno in questa fase istruttoria, il dito è puntato contro di loro, anche perché i curdi privilegiano quasi sempre obiettivi militari, al fine di certificare l’uso politico delle loro azioni, e non usano i kamikaze se non quando sono costretti. Per lo Stato Islamico, invece, sono solo due facce della stessa lotta. In ogni caso, non va scordato che il presidente Erdogan ha sempre dichiarato che per la Turchia il problema principale sono i curdi e non l’ISIS.

Terzo, a questo proposito non va dimenticato che l’attentato coincide sia con il mese di Ramadan, che ha visto un’escalation terroristica in Medio Oriente (la cui onda lunga è arrivata fino in Libano e Giordania), sia soprattutto coincide con la data che sancisce il secondo anno di vita del Califfato, da quando il 29 giugno 2014 Abu Bakr Al Baghdadi dichiarò dalla Grande Moschea di Mosul appena conquistata la nascita del Califfato islamico. Le modalità dell’attentato all’aeroporto Ataturk, infatti, non si discostano molto dalle tecniche operative già note e messe in atto dallo Stato Islamico: un commando di almeno tre-sei persone tra basisti e attentatori armati di kalashnikov e cinture esplosive che colpiscono obiettivi civili altamente simbolici. Gli inquirenti hanno parlato di terroristi stranieri, foreign fighters che potrebbero far parte di quell’ondata di attentatori che hanno colpito Yemen, Libano e Giordania nei giorni scorsi e che rispondono direttamente a Raqqa, da dove partono gli ordini del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi, che avrebbe istituito uno specifico “ministero per le operazioni all’estero”.

Quarto, se fosse confermata la matrice jihadista questo significherebbe che siamo all’interno di una nuova campagna di attacchi che è in continuità con l’Offensiva Al Anbari, una delle più grandi campagne militari lanciate dello Stato Islamico degli ultimi tempi, iniziata il 30 aprile 2016 in onore della morte di Abu Ali Al Anbari, potente comandante iracheno dello Stato Islamico, morto presumibilmente in seguito a un attacco di un drone USA nel marzo di quest’anno. Dopo Iraq, Egitto, Libano, Giordania, Yemen, adesso anche la Turchia entra nell’elenco di questa fase due, quella che si è attivata con il Ramadan e che ha come obiettivi contemporaneamente civili e forze militari. Colpire un aeroporto, infatti, ha un valore sia strategico sia politico sia simbolico.

Quinto, lo Stato Islamico ha perso molto terreno in Iraq e qualcosa anche in Siria, ma la sua forza è evidente e il pericolo è lungi dall’essere allontanato tanto in Medio Oriente quanto altrove. Militarmente i miliziani sono battibili, anche se hanno mostrato inaspettate capacità di resistenza e adattamento sul terreno di scontro: se perdono una città come Sirte o Falluja si riposizionano e adottano tecniche di guerriglia non meno efficaci per far sì che il territori persi non possano essere “messi in sicurezza”. Questo dà loro la possibilità di essere comunque presenti e attivi laddove non hanno più un controllo amministrativo.

Dove sono ancora oggi imbattibili, invece, è nella proliferazione del terrorismo puro. Questo perché l’imprevedibilità degli attentati rende frustrante e quasi inutile ogni precauzione e contromossa da parte delle autorità deputate alla sicurezza sia delle infrastrutture sensibili sia delle strade. Certo è che nel mirino degli attentatori ci sono sempre le metropoli, capitali o i grandi agglomerati urbani. È l’unico dato, purtroppo, dal quale si può partire per iniziare a studiare le contromosse, considerato che a questo vile attentato ne seguiranno presto altri. In attesa di sradicare la minaccia da Siria e Iraq, di cancellare dalle menti fragili di giovani fanatici che credono al martirio, e di ricomporre la frattura che ha cancellato forse per sempre i confini stabiliti esattamente cento anni fa dagli accordi di Sykes-Picot in Medio Oriente. È bene sapere però che sarà una fase ancora molto lunga e ahimè assai sanguinosa.

 

Resta poi un’ultima riflessione sul tema. L’aeroporto Ataturk è forse il più controllato e sicuro al mondo, anche perché meta privilegiata d’incontri tra le agenzie di servizi segreti di mezzo mondo, che qui transitano per raggiungere le mete “calde” e per gestire i più delicati dossier che intercettano gli interessi dei paesi dell’area mediterranea e mediorientale. Il fatto che gli attentatori siano riusciti a colpire proprio in questo luogo, denota quantomeno una sottovalutazione del pericolo da parte degli addetti ai lavori e lancia un’ombra inquietante su come i terroristi siano potuti arrivare così facilmente al loro obiettivo. Sono soprattutto questo aspetto e l’assenza di una rivendicazione a pesare come un macigno sulle vere ragioni e sulle dinamiche dell’attentato più inquietante degli ultimi tempi.

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L'evacuazione dei feriti dopo l'attacco suicida all'aeroporto di Istanbul del 28 giugno 2016.

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Luciano Tirinnanzi