Assad al capolinea
Mentre la Corea del Nord prosegue a minacciare, arrivano segnali concerti dello sgretolamento del regime di Assad. La mediazione del Re di Giordania è fallita con le parole: “Assad è uno strano uomo disconnesso dalla realtà”
Nelle relazioni internazionali esiste una regola aurea sulle dittature, una regola non scritta che nessuna cancelleria del mondo ammetterebbe mai di rispettare ma che è sempre valsa nella storia. E questa regola dice che uno Stato dittatoriale, un regime, per quanto terrorizzi, opprima o affami il proprio popolo, non corre pericoli e non rischia l’incolumità dei propri confini, fino a quando non diventa un fattore di instabilità regionale. Uno Stato, cioè, è libero di esercitare la forza se questa è rivolta al suo interno e non incide invece sulle politiche degli altri Paesi, specie se confinanti.
Questo dev’essere stato anche il tema del pre-summit dei ministri degli esteri di Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Germania, Canada, Giappone, Russia e Italia, che si è svolto ieri e oggi a Londra e che anticipa il prossimo G8 in programma in Irlanda nel mese di giugno, sotto la presidenza della Gran Bretagna. Nel mirino della comunità internazionale, ovviamente, la Siria e la Corea del Nord.
La politica miope della Corea del Nord
Tanto per fare un esempio, Saddam Hussein avrebbe potuto continuare tranquillamente a vessare il proprio popolo nell’indifferenza generale se un bel giorno non avesse deciso di invadere il Quwait e minacciare indirettamente i confini sauditi. Solo allora ha scatenato la “tempesta” che ne ha alla fine determinato la caduta. Lo stesso dicasi per Kim Jong Un: finché il regime nordcoreano si limitava - con una politica economica suicida – ad affamare un popolo già oppresso da una dittatura rigidissima, nessuno a Oriente o ad Occidente avrebbe sollevato un sopracciglio. Ma se perseverasse nel continuare a minacciare Sud Corea, Giappone e USA, la sua sorte sarebbe segnata in poche settimane.
Gli alleati della Siria e i nuovi nemici di Assad
Allo stesso modo, in Siria, la tenuta del regime di Bashar Assad (imprevista da media e cancellerie occidentali) si spiega con il mancato allargamento degli interessi di Damasco verso sud e verso est. Anzi, Assad ha limitato la presenza siriana in Libano e si è ben guardato dal mettere bocca nelle vicende irachene. Tiranno in casa ma non fattore di instabilità regionale, solo in questo modo ha potuto impedire l’invasione del suo Paese, almeno per il momento. Adesso, infatti, Damasco inizia a temere per la propria sopravvivenza e perde alleati giorno dopo giorno.
L’ultimo in ordine di tempo è l’Algeria che, al contrario di Libia e Tunisia, ha offerto fino a ieri un supporto leale al regime siriano (è lo stesso Paese ad aver aiutato i parenti di Gheddafi nonostante la caduta del colonnello). Oggi, però, Algeri si è convinta della imminente fine degli Assad e potrebbe offrire il proprio aiuto ai ribelli siriani. Anche Hamas, l’organizzazione politica palestinese - supportata e protetta dal regime di Assad fino a ieri - oggi si dice pronta a dare il proprio contributo ai ribelli, attraverso il suo braccio armato, le Brigate di Al Qassam. Secondo alcune fonti di intelligence, Hamas starebbe già addestrando alcune truppe di ribelli in coordinamento con Jabhat Al Nusra, la formazione jihadista che controlla il campo profughi di Yarmouk, non lontano da Damasco, dove sono stipati quasi duecentomila palestinesi.
La mediazione fallita della Giordania
In mezzo a tutto ciò, si muove la Giordania, il Paese che forse più di tutti è stato colpito dalla guerra in Siria e che, in ragione della regola aurea di cui sopra, vede minacciata la stabilità dei propri confini. Qui, infatti, sono ormai quattrocentomila i profughi siriani che si sono riversati nel Paese creando un allarme umanitario senza precedenti, e si stima che entro la fine del 2013 solo in Giordania i rifugiati supereranno quota settecentomila.
Il Re di Giordania, Abdullah II, ha infatti tentato una mediazione segreta con lo stesso Assad per favorire una soluzione diplomatica. L’ultima, prima dell’intervento armato internazionale in Siria. Abdullah - che fonti dell’intelligence assicurano si sia recato a marzo a Damasco per incontrare il presidente siriano - avrebbe chiesto a Bashar Assad di dichiarare il cessate il fuoco per favorire una negoziazione credibile con l’ONU, in vista di nuove elezioni da tenersi in Siria nel 2014, sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Ma i retroscena hanno svelato come Abullah stesso abbia descritto Bashar Assad come “uno strano uomo disconnesso dalla realtà”. Dunque, la mediazione è fallita e anche la Giordania si sarebbe persuasa ormai a supportare i ribelli siriani.
Giordania, Turchia e Libano sperano ora nella creazione di una zona cuscinetto sotto il Free Syrian Army, l’esercito ribelle che combatte Assad, al fine di prevenire un’enclave jihadista che non risolverebbe i problemi di stabilità dei confini e, anzi, costituirebbe una minaccia per l’intera regione, ancor più grave della guerra stessa. A meno che la NATO non decida di intervenire direttamente.