Arfio: la grande bellezza della mia Roma
Jep Gambardella, i salotti in cui non si parla di niente, le osterie proletarie: un ritratto d'eccezione della capitale eterma
Roma è così. Così nel senso che è proprio così, come la vedi. È bella, bellissima, è feroce come una donna che sa dove vuole andare. Se non fosse stata feroce, arcigna, cattiva in certi momenti non sarebbe sopravvissuta a Imperatori, Re, Dittatori, Sindaci mediocri, cittadini superficiali.
Cosa ti vuole dire con quei tramonti, con quel pulviscolo arancione, che man mano che digrada si tinge di viola non è dato saperlo. Perché ha mantenuto intatte rovine per secoli poi è un mistero.
Roma è un’osteria, quelle rimaste, come “Biondo Tevere” dove Pasolini mangiò l’ultima volta con Pelosi o come il proletario “Betto e Mary” all’Alessandrino. Ed è bella così col viso sporco di periferia, questa matrona sorniona nata da una lupa, che oggi si chiamerebbe escort e da due gemelli che neanche si amavano troppo. Un omicidio nelle prime ore, ma non per cattiveria, per giustizia.
Così nasce la bellezza, così diventa grande. Poi c’è la Roma, quella che frequento dei circoli del polo, della grande mestizia di non parlare di niente anche quando si dovrebbe parlare di tutto, è la Roma del mio amico Jep Gambardella, che cammina con fare stanco sui sampietrini abdicando al suo voler essere il “re dei mondani”. Nei salotti ve lo confesso in realtà non si dice niente, tutti guardiamo le bomboniere della padrona di casa, tutti osserviamo come sono vestiti gli altri, ci chiediamo tutti come stiamo, parliamo male di quelli che hanno appena arrestato, ci facciamo un po’ di complimenti, ci diciamo che siamo bravi e che il Sindaco attuale, senza di distinzioni di partito, non è proprio capace.
Siamo tutti allenatori nei salotti, siamo tutti ottimi padri di famiglia, grandissimi amanti, mariti meravigliosi.
Poi ce ne andiamo tutti a casa da soli, avvolti dalle nostre ricchezze. Per questo non ci vado più o ci vado solo per tornarmene a casa a piedi, per accendermi un sigaro e camminare, perché su questa grande bellezza tutti hanno qualcosa da dire, ma nessuno in realtà l’ha mai calpestata, ne ha sentito l’odore originario. La bellezza odora di una fragranza misteriosa, che è un misto tra l’odore di un corpo dopo che ha fatto l’amore e la brezza di mare .
Sono felice che la nostra splendida decadenza sia stata raccontata, sono contento che qualcuno oltre a me ha visto una giraffa dentro Massenzio, sono soddisfatto che il mio scrittore preferito Jep Gambardella abbia potuto finalmente raccontare chi siamo, siamo così belli da essere dei fake di noi stessi nella migliore delle ipotesi. Jep così svogliatamente modesto da scrivere solamente un libro ci rappresenta. Siamo una parte, un pezzo del tutto, perché la forza di questa metropoli squinternata è proprio questa, che ogni pezzo dal barbone al ricco, dallo studente al nobile, si incastra alla perfezione. Siamo tristi, ma non infelici, noi che andiamo a dormire quando voi vi svegliate viviamo una malinconia che tende all’allegria, spesso le spariamo grosse ma solo per commiserarci un po’. Ci fa grande allegria il popolo, ci fa grande tristezza la gente che ci prende sul serio.
Ora, vorrei dire: vai Jep, vinci quest’Oscar e poi facciamo una grande festa, una di quelle che ti faranno essere il “Re dei mondani”, vincila questa statuetta di dubbio gusto, perché il cinema italiano ha confidenza con i trofei come la Roma con gli scudetti. Vincila e sbattila in faccia a tutti quelli che ti avevano detto di lasciar perdere, a quelli che hanno visto il film e hanno detto che non gli piaceva salvo poi rivedere il giudizio dopo le recenti vittorie. Vinci questa statuetta, così almeno avremmo qualcosa di nuovo su cui parlare perché la verità è che a Roma, non succede mai niente.
Ma la grande bellezza è così. Così come la vedete.
Roma ti amo.