Antisemitismo, (grave) effetto collaterale della crisi
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Antisemitismo, (grave) effetto collaterale della crisi

L'ultimo episodio questa mattina con la profanazione di 57 tombe nel cimitero ebraico di Kaposvar in Ungheria. Prima ancora eventi antisemiti in Bulgaria, Polonia e rischio alto a Londra per le Olimpiadi

È il risorgere dell’antisemitismo uno dei più abominevoli effetti collaterali della crisi? L’antisemitismo fa parte della storia europea e l’enormità della Shoah non è riuscita a sconfiggerlo, ma quando il futuro si fa più incerto scatta il meccanismo del capro espiatorio. L’ultimo episodio risale a questa mattina. Si è infatti scoperto che nella notte 57 tombe sono state profanate nel cimitero ebraico di Kaposvar, nel sud dell’Ungheria. In pezzi le lapidi in un paese, l’Ungheria, in cui il bilancio della Shoah è stato di 575 mila ebrei uccisi, solo 206 mila sopravvissuti alle leggi discriminatorie del 1941, ai campi di sterminio, alle “marce della morte”, alla fatica dei lavori forzati e alle stragi di Kamenets-Podolsk e delle Croci Frecciate.

Appena il mese scorso, il Premio Nobel Elie Wiesel aveva restituito alle autorità ungheresi una onorificenza ricevuta nel 2004, per protesta contro la riabilitazione di personaggi tristemente legati alla persecuzione nazista. L’Ungheria è anche il paese in cui riescono ad avere popolarità e consenso esponenti politici come Krizstina Morvai, eletta al Parlamento europeo nelle file del Partito per un’Ungheria Migliore forte del 15 per cento, che in polemica con un radiologo ebreo di New York che l’aveva definita “un caso psichiatrico” per i suoi accenti antisemiti in campagna elettorale, ha avuto il coraggio di dire: “Sarei contenta se coloro che si definiscono fieri ebrei ungheresi se ne andassero a giocherellare con i loro piccoli peni circoncisi, invece di insultare me”.

La Morvai si era fortemente impegnata a favore di Hamas nella Striscia di Gaza dopo l’offensiva israeliana. In una lettera all’ambasciatore di Israele a Budapest, è arrivata a scrivere: “Il solo modo di parlare con gente come lei è nello stile di Hamas. Mi auguro che tutti voi pidocchiosi e sporchi assassini ricevano i ‘baci’ di Hamas”.

Ma non basta. L’Europa è tuttora scossa dalla strage di turisti ebrei in Bulgaria , e quattro mesi fa in Francia il terrorista islamico Mohamed Merah ha ucciso professori e adolescenti in una scuola ebraica a Tolosa. L’aspetto paradossale è che mentre in Francia la comunità ebraica è forte e numerosa e in Ungheria, a Budapest, c’è la seconda più grande Sinagoga d’Europa, oltre alla casa natale di Theodore Herzl, teorico e fondatore del sionismo, in paesi come la Polonia la comunità ebraica è ridotta ai minimi termini eppure c’è tuttora un potente movimento antisemita. Una sorta di “antisemitismo senza ebrei”.

Neanche Londra è immune. In questi giorni infuria la polemica sui toni anti-israeliani dei programmi della BBC, che nella copertura quotidiana delle Olimpiadi citano Gerusalemme come capitale della Palestina e di Israele, mentre i produttori della serie dei BBC Promenade Concerts rifiutano addirittura di trasmettere un concerto dell’Orchestra filarmonica israeliana per le pressioni arabe e il Canale 4 dell’emittente britannica si sbizzarrisce in documentari sulla lobby ebraica israeliana. Tant’è.

Bisogna quasi salutare come un atto di coraggio, e certo come un atto di dignità politica, il discorso con il quale il presidente francese François Hollande ha appena riconosciuto, contro le reticenze di De Gaulle e Mitterrand ma in linea con la prima solenne ammissione di Chirac, la responsabilità della Francia e dei francesi nella deportazione di 13.152 tra uomini, donne e bambini ebrei, rastrellati e portati all’alba del 16 luglio 1942, a Parigi, nel Vélodrome d’Hiver.

Tornarono alla fine della guerra in meno di cento, e tra loro nessuno dei 4 mila bambini. “Questo crimine si è svolto qui – ha detto Hollande -, nella nostra capitale, nelle nostre strade, nei nostri cortili, nelle scale dei nostri palazzi, sotto le tettoie delle nostre scuole”. Come sempre, perché la banalità del male vive dell’intolleranza quotidiana e di un odio che scarica le frustrazioni collettive sugli ebrei. Oggi come ieri.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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