Il caso Cancellieri e la necessità delle riforme
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Il caso Cancellieri e la necessità delle riforme

Cambiare la giustizia italiana e il sistema penitenziario: è questa la vera lezione emersa dal dibattito in parlamento sull'affaire Cancellieri-Ligresti

 

Adesso, però, bisogna proprio che il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, dia una netta sterzata a favore di una rivoluzione positiva del sistema giudiziario e penitenziario italiano. Non può pensare di salvare dalle secche del carcere un detenuto piuttosto che un altro (chiunque sia in grado di farle arrivare il suo messaggio nella bottiglia) senza metter mano a tutto il sistema. Insomma, tutto regolare, nessun reato e forse neppure una carenza di sensibilità istituzionale nell’interessamento del ministro alle condizioni di salute della detenuta Giulia Ligresti. Nessuna censura alla telefonata di umana solidarietà e affettuosa vicinanza della Cancellieri alla compagna di Salvatore Ligresti subito dopo l’arresto dei Ligresti padre e figli. Bene pure l’ulteriore telefonata di Nino Ligresti, fratello di Salvatore, all’amica Annamaria. Regolare, forse addirittura dovuta, la conseguente segnalazione del ministro ai sottoposti “sensibilizzandoli” sulle condizioni di Giulia, già malata di anoressia. Alla fine, però, di tutto questo dibattito in Parlamento, tra attacchi strumentali e inviti alle dimissioni o al contrario alla resistenza, resta il problema di fondo, quello di un sistema giudiziario e carcerario cariato, malato, con vaste sacche di magistratura impegnata politicamente e obnubilata da visioni ideologiche da guerra fredda. Un sistema che non riesce a garantire i tempi e la certezza di una vera giustizia (anche civile). E, poi, un’organizzazione carceraria nella quale i detenuti sono sottoposti a momenti e procedure che sono chiamati in Europa con il loro nome: tortura. 

“Non si può star vicini a tutti come si dovrebbe”, ha detto la Cancellieri al Senato, rivendicando la propria matrice umanitaria e libertaria, il suo modo umano di onorare compiti e mandati di “donna d’ordine”, sia come alta funzionaria dell’amministrazione sia come ministro degli Interni e poi della Giustizia. Ci sono oltre 64mila detenuti nelle carceri e qualche amico può capitare. La ricostruzione del ministro in Parlamento ha dimostrato che non c’è rapporto di causa-effetto tra la sua telefonata e la scarcerazione di Giulia Ligresti. Che è stata scarcerata e messa ai domiciliari per ragioni obiettive condivise dall’accusa e per decisione autonoma dei magistrati.

Adesso, però, bisogna che tutti i poveri cristi che non hanno il cellulare del ministro e non riescono a far arrivare attraverso parenti e amici, e amici degli amici, una tempestiva informazione sul loro stato di salute o sul rischio di suicidio, possano contare non sulla Cancellieri come singola persona di cuore, ma su tutto il sistema che ha al suo vertice un ministro con tanta umana e istituzionale sensibilità.

E sarebbe anche bello che quanti hanno sollecitato le dimissioni della Cancellieri contestando il singolo caso e incitando a un eguale trattamento umano verso tutti i detenuti, dimostrino ora di aver davvero a cuore le sorti della giustizia e quella degli ospiti delle patrie galere. Ma dubito che passato il momento della polemica strumentale si trovi l’accordo sulla fine della casta giudiziaria, sulla riforma della giustizia con garanzia per i diritti di tutti, anche della difesa, e su misure che possano restituire ai carcerati la dignità di uomini e donne. 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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