Allarme per il contingente italiano in Libano
(AP Photo/Bilal Hussein)
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Allarme per il contingente italiano in Libano

Il presidente siriano Assad ed Hezbollah minacciano ritorsioni in Libano contro obiettivi occidentali. Siria: lo speciale

(Lookout News)

La buona notizia è che il giornalista italiano rapito in Siria, Domenico Quirico, è stato liberato, grazie anche al buon lavoro del ministero degli esteri. Ma, per la Farnesina, le buone notizie finiscono qui. Mentre le cattive notizie sono già sul tavolo del ministro Emma Bonino e del collega della Difesa, Mario Mauro. Tra queste, forse la più negativa riguarda il contingente italiano UNIFIL di stanza in Libano.

Come noto, l’Italia in Libano non partecipa solo alla missione di peacekeeping approvata dall’ONU con la risoluzione 1701, ma ne è anche il responsabile, in base al mandato dell’11 agosto del 2006, quando è stato approvato - con il voto di tutti e 15 i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - il testo che chiedeva la fine del conflitto tra Israele e Libano. La missione è finalizzata a “sorvegliare la cessazione delle ostilità, affiancare e sostenere le forze libanesi nel loro dispiegamento nel sud, compresa la zona di confine della Linea Blu, mentre Israele ritira le proprie forze armate dal Libano” si legge nella risoluzione che affida all’Italia la gestione delle oltre 12mila truppe della coalizione schierata a Sud di Beirut (alla quale partecipano, in totale, 37 nazioni alleate).

L’Italia, in tutto Medio Oriente, ha una task force aerea negli Emirati Arabi Uniti, un avamposto a Hebron (Cisgiordania) e alcuni ufficiali negli avamposti della Middle East – UNTSO (United Nations Truce Supervision Organization). Ma è nel Paese dei cedri che il suo ruolo si fa più difficile e operativo: oltre mille soldati (1.095) sono oggi sulla linea di fuoco in un Paese esposto più di chiunque altro al rischio di un coinvolgimento diretto in una guerra micidiale, quella di Siria.

I pericoli del nostro contingente

A Shama, sede del Quartier Generale dei caschi blu italiani, per adesso regna la calma. Ma è in un crescendo di suspense e tensione che i nostri militari (come del resto tutta la popolazione) attendono le decisioni del comandante in capo delle forze americane, il presidente degli Stati Uniti, il quale sta per intraprendere un’azione unilaterale contro il regime di Damasco.

Questo complica non poco i piani e le sorti dei soldati UNIFIL: schierati per assistere le forze armate libanesi e offrire assistenza alla popolazione nel sud del Paese, i caschi blu non ingaggeranno un conflitto armato in difesa della “Linea blu”. In caso di ostilità, si ritireranno e potrebbero anche lasciare immediatamente il Libano.

Il nostro ministero degli Esteri dimostra, con il suo attivismo, di avere quantomeno a cuore tale questione, seppure il ministero della Difesa ancora taccia sui movimenti del cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, che ha lasciato il porto di Taranto facendo rotta verso le coste siro-libanesi, e sulla Fregata Maestrale, che presto lo raggiungerà. Verosimilmente, le navi sono state inviate proprio pensando al ritiro del contingente, in caso di apertura delle ostilità. Una scelta prudente.

La forza manifesta di Hezbollah

Resta però il fatto che questa decisione, da sola, non mette al riparo il nostro contingente dalla possibilità di rappresaglie, i cui segnali si fanno via via più concreti. E il motivo è semplice: la crescente influenza di Hezbollah in Libano. Il “partito di Dio”, che ha ingaggiato la guerra al fianco del regime di Assad, era nel mirino della task force UNIFIL sin dall’inizio della missione, dato che la risoluzione 1701 stabilisce come punto di partenza per le attività dei caschi blu “l’immediata cessazione delle ostilità” non solo “da parte di Israele” ma anche e soprattutto “da parte di Hezbollah”, che de facto governa buona parte del territorio libanese, a detrimento dell’esercito regolare.

Se dovessimo giudicare la missione UNIFIL dai risultati raggiunti finora (sotto gli occhi di tutti), dovremmo dedurre con amarezza che essa è sostanzialmente fallita. È pur vero che Israele ed Hezbollah non si scambiano che numerose minacce e qualche missile, ma Hezbollah non è stato minimamente arginato e, anzi, il suo peso e la sua forza dal 2006 ad oggi sono cresciute esponenzialmente. Non che il contingente italiano potesse fare molto di più, ma evidentemente la risoluzione ONU dimostrato tutti i suoi limiti.

Le milizie di Hassan Nasrallah si sono espanse a dismisura fino a prendere in mano le sorti della guerra in Siria, incidendo al punto che i successi militari di Damasco e la tenuta stessa del regime siriano si devono in gran parte proprio a Hezbollah: è, infatti, il suo braccio armato che ha permesso all’esercito di Assad di diversificare i fronti, di far arrivare forze fresche in campo, di riconquistare Qusayr, Homs e mantenere le posizioni che contano per impedire ai ribelli di sfondare sulla via di Damasco.

La minaccia di Assad

Dunque, non solo dal Libano i guerriglieri del partito di Dio hanno ormai sconfinato ma, nell’ora in cui il regime siriano teme l’ira funesta degli Stati Uniti d’America, da lì giunge la minaccia più grave per l’Occidente.

Il presidente siriano Bashar Assad, intervistato dall’emittente americana CBS nel programma Face The Nation, ha infatti affermato - con più fermezza del solito, al punto che a tratti sembra di ascoltare non una minaccia ma un “via libera” - che “in caso di attacco contro la Siria ci saranno ritorsioni da parte di chi ci appoggia”. Ritorsioni che non potranno che essere di stampo terroristico.

E quale gruppo terroristico è più vicino ad Assad? Hezbollah. E dove può colpire per primo Hezbollah? In Libano. Quali sono i primi obiettivi nemici di Hezbollah a portata di mano nel Paese? Gli italiani e i francesi.

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Luciano Tirinnanzi