Come e perché è scattata la contestazione di Agrigento
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Come e perché è scattata la contestazione di Agrigento

Urla, schiamazzi, spintoni al funerale delle vittime della tragedia di Lampedusa: a farne le spese tutti i rappresentanti del governo italiano ed eritreo. Ecco perché

 

«È stato un grande flop di immagine e di sostanza il funerale degli immigrati»
 avvenuto ieri al molo turistico di San Leone (Agrigento). Così dice un isolano siciliano accorso per la cerimonia. Il rito, destinato a commemorare i naufraghi eritrei, somali e del Corno d'Africa annegati nel Canale di Sicilia tra il 3 e l'11 ottobre, si è trasformato in una contestazione frontale al governo Letta.
 «Assassini! Assassini!», urlavano diversi gruppi di presenti, immigrati e italiani, ai margini della cerimonia con un attonito vicepremier Angelino Alfano arrivato in rappresentanza del governo. Al seguito uno stuolo di figure istituzionali e i ministri per l'Integrazione Cécile Kyenge e della Difesa Mario Mauro.

 

«Abbiamo assicurato assistenza ai sopravvissuti e adesso daremo la caccia agli scafisti», dichiara Alfano mentre la scorta lo trascina via per evitare un contatto con i contestatori. Grida che non gli sono rivolte solo per la presenza ma per l'intero impianto dato dal Governo alla cerimonia. Tutto ha mandato in fibrillazione i partecipanti già dal mattino. Non ci sono le 366 salme, seppellite da giorni nei cimiteri della provincia di Agrigento e Caltanissetta, con un numero identificativo e senza un nome e cognome. Non ci sono i sopravvissuti che protestano da Lampedusa perché nessuno ha pensato di condurli ai funerali di San Leone. Né gli abitanti della stessa Lampedusa che fino a pochi giorni prima si sono accollati buona parte del soccorso del centinaio di profughi africani.


Appena sfilato il vicepremier la contestazione si sposta sull'ambasciatore eritreo Zemede Tekle, presente in rappresentanza del governo dittatoriale di Isaias Afewerki. «Invitare i rappresentanti del regime eritreo offende le vittime e i familiari» spiega tra la folla Don Mosè Zerai, autorità religiosa tra gli eritrei. Ma non è il solo. Anche gli altri sacerdoti cattolici, copti e gli imam annuiscono. Il regime di Isaias Afewerki impone il servizio militare a vita. Per Amnesty International e l'associazione Reporters sans Frontières la leva a vita è la principale causa della fuga dall'Eritrea. Il Paese non ha un elezione dal 1997 ed è lo Stato con minor libertà di stampa al mondo negli ultimi sei anni seguita solo dalla Corea del Nord.

Le autorità eritree sono giunte in Italia per identificare i morti e riportare le salme in patria
 per le cerimonie nazionali. Ma questo, sostengono i profughi da Lampedusa, servirebbe solo ad identificare le famiglie di origine e passarle per le armi vista la «figuraccia» procurata «al popolo eritreo» dai loro figli morti 
nel mare italiano. Così, appena partono le coreografie organizzate dal governo eritreo (una processione con ombrelli colorati, ceri accesi e fiori), riparte ancora più forte la sequela di urla e di fischi.

Sembra proprio troppo vedere accanto alle autorità italiane, ministri, prefetti, questori e forze dell'ordine, i rappresentanti di quel governo africano da cui i giovani, poi morti nel canale di Sicilia, fuggono. Così il ministro della Difesa Mario Mauro risponde a chi gli chiede il senso di una cerimonia del genere:
 «La domanda va posta a chi ha la responsabilità diretta dell'evento». Ma non si sa chi sia, visto che non ne sono al corrente né il sindaco di Agrigento né quello di Lampedusa, Giusi Nicolini. In molti rivolgono uno sguardo al Ministro Cécile Kyenge, convinti di trovare in lei una risposta.
 «Oggi è un giorno importante perché per la prima volta per i migranti morti sono stati fatti funerali di Stato», dichiara ma è l'ennesima scivolata del ministro di origini congolesi perché viene subito corretta dal suo ufficio stampa che dirama una nota interpretativa. «Non si tratta di funerali di Stato».
 E forse neanche di una commemorazione degna per le vittime.

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Antonio Amorosi