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Afghanistan, la battaglia per Kunduz e la risposta di Obama ai talebani

Ripensare il disimpegno dopo la nuova offensiva taliban. Il Pentagono era sempre stato scettico sul ritiro affrettato delle truppe. Forse a ragione

Per Lookout news

La storia ricorderà Barack Obama non come il presidente che ha condotto la sua politica estera come un’applicazione del potere americano basata sui princìpi, ma come un tentativo generale di giustificare la propria fuga da esso. Da Aleppo a Donetsk a Kunduz, i popoli vivono con le conseguenze di questa fuga”.

 È questa la sentenza di Bret Stephens, columnist del Wall Street Journal, che fa seguito alle dichiarazioni rese dal presidente americano all’assemblea generale delle Nazioni Unite, dov’è andato in scena l’ennesimo scontro tra Russia e Stati Uniti. Se l’Ucraina, ma soprattutto la Siria hanno monopolizzato il dibattito internazionale, a migliaia di chilometri di distanza in un altro importante teatro di guerra dove gli americani sono impegnati direttamente, la situazione stava però degenerando.

 Chissà quale imbarazzo per la Casa Bianca nell’apprendere che nelle stesse ore dei colloqui ONU, i talebani marciavano verso Kunduz, importante città nella parte più settentrionale dell’Afghanistan e crocevia del commercio dell’oppio per l’Asia centrale.

 

La presa di Kunduz
Dopo che i miliziani hanno preso il controllo di Kunduz, è scattata la controffensiva dell’esercito afghano, che ha schierato 5mila uomini per respingerli. Ma questo non è bastato a evitare l’occupazione della città e, quarantott'ore dopo il blitz talebano, la città resta ancora in gran parte sotto il loro controllo.

 Una parte dei rinforzi dell’esercito sono bloccati nella provincia di Baghlan, rallentati dalle mine e dagli IED (ordigni esplosivi improvvisati) disseminati lungo la strada. Perciò, è stato necessario l’intervento militare degli Stati Uniti, che hanno impedito la presa dell’aeroporto di Kunduz grazie a una serie di raid aerei.

 Ma, come dimostra il teatro siro-iracheno, i raid aerei possono solo fermare l’emorragia e non certo assicurare il successo di un’operazione in un contesto simile, dove si combatte casa per casa, uomo per uomo, metro per metro.

Perché i talebani sono insorti
Dopo la scomparsa del Mullah Omar, il nuovo leader dei Taliban afgani, il mullah Akhtar Mansour, aveva aperto alla possibilità di un “dialogo inter-afgano” con il governo di Kabul, asserendo solo poche settimane fa di essere disposto al cessate il fuoco, a condizione di arrivare “al termine dell’occupazione degli invasori” occidentali. Cosa sia accaduto dopo è difficile da dire, ma facile da immaginare. La disillusione della leadership afghana circa il disimpegno militare occidentale - che non potrà avvenire nei tempi previsti - ha probabilmente portato alla decisione di riprendere le ostilità.

 I comandi militari degli Stati Uniti, infatti, hanno appena cambiato strategia. Obama stesso, che aveva fatto del disimpegno afghano una bandiera della sua politica estera, avrebbe infatti cambiato idea. Dal mantenere appena un migliaio di soldati americani in Afghanistan oltre il 2016 per garantire la sola sicurezza dell’ambasciata e delle rappresentanze americane, ora il Pentagono si sta orientando a lasciare sul campo le attuali 9.800 truppe statunitensi al comando del generale dell’esercito John F. Campbell, almeno fino a gennaio 2017.

Varie sono le opzioni offerte dal Pentagono al presidente, e nulla è ancora stabilito. Ma è evidente la volontà da parte dei comandi militari americani di sostenere l’esercito afgano per ridurre al minimo le probabilità di perdere nuovamente terreno, così difficilmente guadagnato in oltre un decennio di costosi combattimenti.

 Se questa nuova battaglia può essere solo un exploit temporaneo, la presa di Kunduz rappresenta comunque la più grave sconfitta per il governo locale dalla caduta del regime talebano nel 2001, che infligge un grave colpo all’autorità stessa del presidente Ashraf Ghani e rafforza le convinzioni di chi, nel Pentagono, ritiene irrealistico abbandonare il campo e ridurre ancora le forze terrestri.

I tempi per una nuova decisione sul numero delle truppe statunitensi non sono chiari. Il generale Campbell, che già a febbraio aveva suggerito di frenare il ritiro, dovrebbe testimoniare davanti al Congresso americano la prossima settimana. Oggetto della discussione: l’efficacia delle forze di sicurezza afghane e la forza effettiva della galassia jihadista in Afghanistan.

Chi sono i talebani
Gruppo di etnia a maggioranza Pashtun, si forma nelle scuole coraniche “madrasse”. È guidato sin dall’inizio dalla guida spirituale Mullah Omar, ancora oggi uno dei terroristi più ricercati al mondo, nascosto secondo alcuni nella città pakistana di Quetta. Il primo vero salto di qualità arriva nell’autunno del 1994, quando con i finanziamenti dell’Arabia Saudita – che da tempo facevano pressione su quest’area dell’Asia Centrale affinché prevalesse una visione radicale dell’Islam sunnita – i talebani assumono il comando del Paese imponendo una rigida applicazione della Sharia (la legge islamica) con esecuzioni pubbliche contro chi commette reati o si macchia di adulterio, l’obbligo per gli uomini di farsi crescere la barba, per le donne di indossare il burka, il divieto per tutti di guardare la televisione e ascoltare musica e per le ragazze sopra i dieci anni di andare a scuola.

 Inizialmente gli “studenti” guerriglieri hanno presa sulle popolazioni al confine tra l’Afghanistan e il Pakistan ponendosi come l’unica forza in grado di garantire la sicurezza, il controllo dell’ordine pubblico e la continuità dei commerci. Si impossessano prima della provincia di Herat, al confine con l’Iran, nel settembre del 1995. Poi, un anno dopo, rovesciano il regime del presidente Burhanuddin Rabbani e del suo potente ministro della difesa, Ahmed Shah Masood, mettendo le mani su Kabul. Nel 1998 controllano quasi il 90% di tutto l’Afghanistan.

 In questi anni il ruolo del vicino Stato del Pakistan è stato sempre molto ambiguo, anche se ormai non vi sono dubbi sul fatto che molto degli afghani che inizialmente hanno aderito al movimento talebano sono stati istruiti nelle madrasse pakistane. Il Pakistan è stato inoltre uno dei soli tre Paesi, insieme ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ad aver riconosciuto il governo dei talebani dalla metà degli anni 1990 fino al 2001. Ed è stato l’ultimo Paese a interrompere i rapporti diplomatici con loro.

 La storia dei talebani, così come quella del mondo, cambia dopo gli attacchi dell’11 settembre del 2001. Il 7 ottobre dello stesso anno, una coalizione militare internazionale guidata dagli Stati Uniti invade l’Afghanistan e la prima settimana di dicembre il regime talebano crolla. Da allora però, nonostante il costante invio di truppe e le migliaia di morti, l’AF-PAK resta una polveriera, con governi deboli, confini porosi o inesistenti e in balia delle spinte dei talebani e degli altri gruppi terroristi operativi in quest’area.

Kunduz, Afghanistan
STR/AFP/Getty Images
Kunduz, Afghanistan, 29 settembre. Un poliziotto afghano in armi all'indomani dell'avanzata talebana.

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Luciano Tirinnanzi