Accordo con l'Iran sul nucleare: perché Obama ringrazia Putin?
GettyImages
News

Accordo con l'Iran sul nucleare: perché Obama ringrazia Putin?

I due si detestano eppure ora si elogiano e dicono di collaborare. Il Cremlino passerà presto all'incasso. Senza la sua mediazione l'intesa con Teheran non sarebbe arrivata

Il mistero è grande. Il ruolo significativo giocato dietro le quinte dalla Russia per il raggiungimento di un’intesa storica è fuori dagli schemi consueti. Esiste una contropartita discussa con gli USA

La Casa Bianca, un giorno dopo il successo dell’intesa nucleare con l’Iran, ha reso noto al mondo che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha telefonato personalmente al leader del Cremlino, Vladimir Putin, per ringraziarlo del “ruolo significativo giocato dalla Russia per il raggiungimento di una pietra miliare come l’accordo con l’Iran”.

Non solo. I due leader auspicano ora di rimanere in stretto contatto - versione confermata dal Cremlino - per coordinare l’azione di Stati Uniti e Russia nel controllo dell’intesa da parte di Teheran.

Dal canto suo, il Cremlino ha comunicato, inoltre, che “un accordo globale sul programma nucleare iraniano risponde agli interessi di tutta la comunità internazionale, contribuisce a rafforzare il regime di non proliferazione nucleare e a diminuire le tensioni nella regione del Medio oriente”.

Idillio improvviso: cosa ha promesso Barack a Vladimir
Insomma, una specie d’idillio improvviso, scoppiato tra due Paesi teoricamente precipitati in una nuova guerra fredda e tra due capi di Stato che non nascondono il loro odio reciproco.

Eppure, entrambi oggi si elogiano vicendevolmente e rimarcano “il ruolo del dialogo russo-americano per garantire la sicurezza e la stabilità nel mondo”.

Ma cosa avrà promesso Barack Obama a Vladimir Putin per potersi mostrare così conciliante e ossequioso nei confronti del nemico?

Ancora un mese fa il tono delle dichiarazioni tra i due era questo: “Ci riserviamo il diritto di reagire conseguentemente a tutte le iniziative non amichevoli, compiute contro di noi dagli USA” tuonava Putin dopo una nuova ondata di sanzioni stabilita al G7, dal quale il presidente russo è stato “temporaneamente” estromesso.

“Le sanzioni non hanno dissuaso Putin e non lo hanno deviato dal suo percorso. In Ucraina continua a violare gli impegni presi. Perciò sto esaminando tutte le opzioni, inclusa la fornitura di armi letali per rafforzare le difese dell’Ucraina” lo aveva preceduto Obama in una serie di dichiarazioni al vetriolo.

Le affermazioni ostili di Obama hanno contraddistinto il linguaggio politico della Casa Bianca lungo tutto l’arco del 2014 e nella prima metà del 2015.

Ad esse, deve anche aggiungersi la crescente pressione militare USA sul confine NATO in Europa orientale, che si è concretizzata nell’invio di migliaia di truppe occidentali davanti alla Russia e in esercitazioni militari dal sapore di sfida aperta. Con tanto di provocazioni russe in stile Novecento, come il sorvolo a bassa quota di jet di Mosca sopra le corazzate USA.

I dossier caldi di USA e Russia
I dossier aperti tra Stati Uniti e Russia sono principalmente quattro:
- la questione ucraina, cui sono legate le sanzioni economiche, lo scudo antimissilistico e l’annessione della Crimea;
- l’accordo TTIP, la zona di libero scambio transatlantica tra Stati Uniti e Unione Europea;
- la questione mediorientale, cui si lega la sopravvivenza al potere di Bashar Al Assad in Siria e l’appoggio alle forze sciite nella regione, di cui l’Iran è il principale referente;
- la questione delle rotte energetiche, che solo in parte intercetta l’Europa, ma che riguarda soprattutto la partita in Asia-Oceano Pacifico e nel Mar Glaciale Artico.

Passi in avanti diplomatici
Prove di accordo tra le due potenze c’erano già state.
Ad esempio, nel primo semestre del 2014 sul dossier mediorientale, in occasione dello smaltimento delle armi chimiche siriane: senza l’intervento personale di Vladimir Putin, amico e protettore del presidente Assad, le armi chimiche non sarebbero state mai recuperate e smaltite con tale facilità dalle Nazioni Unite (e chissà cosa ciò avrebbe comportato).

Il buon esito dell’operazione aveva fatto sperare allora nella distensione e collaborazione tra USA e Russia, anche se ciò non ha portato poi a significativi progressi né in Siria né tra le due diplomazie, ancora ai ferri corti.

Le due potenze, infatti, sono tornate a duellare su numerose altre questioni. L’aggressività americana ha portato, ad esempio, a un crescendo di sanzioni in relazione alla destabilizzazione dell’Ucraina, con accuse reciproche su chi abbia provocato la spaccatura nel Paese e su chi e come abbia infiltrato agenti esterni (soldati e/o mercenari) sul fronte di guerra.

E molti altri esempi si potrebbero portare.
Come aver scippato il protettorato russo di Cuba e ora, apparentemente, anche l’Iran, secondo un disegno americano che punterebbe a isolare la Russia e a insinuarsi come alternativa a Mosca in ogni suo ambito di esclusiva pertinenza.
Del resto, c’è che la nostalgia per la Guerra Fredda per entrambi i Paesi è una suggestione molto potente e un evergreen di sicuro effetto per la propaganda politica.

Qualcosa è cambiato
Che cosa è cambiato, dunque, oggi tra Washington e Mosca? Perché queste lodi sperticate e l’apparente ritrovato idillio tra Obama e Putin?
La soluzione è alla portata dei soli rapporti segreti custoditi dagli uffici riservati delle due ambasciate. Ciò nonostante, d’ora in avanti bisognerà prestare estrema attenzione alla geopolitica, perché prima o poi conosceremo il prezzo che è valso un accordo storico per l’America con l’Iran.

Vladimir Putin potrebbe presto passare all’incasso perché, è bene sottolinearlo ancora una volta, l’accordo con Teheran sul nucleare è sì una grande vittoria personale di Barack Obama - quanto rischiosa e azzardata non è questa la sede per analizzarlo - ma senza il ruolo chiave del Cremlino e di Vladimir Putin in persona, grande alleato e nume tutelare degli Ayatollah, la Casa Bianca non si sarebbe mai sognata di poter raggiungere quello che oltreoceano gli entusiasti già chiamano il “big deal”.

Nota a margine: la democratica Hillary Clinton, candidata in pectore per le presidenziali 2016, non ha commentato la notizia dell’accordo sul nucleare se non con frasi di circostanza, al contrario dei repubblicani, che vorrebbero boicottare il “big deal”. La campagna per la Casa Bianca potrebbe cominciare proprio da qui.

I più letti

avatar-icon

Luciano Tirinnanzi