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I conti in rosso dell'Accademia della Crusca

La Corte dei Conti indaga sui guai finanziari dell'istituto che cura il rispetto dalla lingua italiana

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re assegni di ricerca per il Vocabolario dantesco, uno per il Vocabolario della Crusca, l’attività di raccolta dati dei proverbi italiani, le borse di studio per il progetto sugli scienziati italiani e l’unità linguistica nazionale. I convegni, le pubblicazioni e le ricerche sono aumentate negli ultimi anni. I sette dipendenti che fanno funzionare la più prestigiosa istituzione linguistica al mondo costano circa 220 mila euro all’anno. Altri 50 mila euro sono spesi in consulenze e collaborazioni per ricercatori ed esperti esterni.

La metà rispetto al 2015. Da qualche anno l’Accademia della Crusca, presieduta dal professor Claudio Marazzini, costa di meno e produce di più. Ciononostante il 16 aprile scorso sono arrivate delle sferzate dalla Sezione di controllo della Corte dei conti. Perché, secondo i giudici contabili, alla Crusca saranno anche bravi con la lingua italiana, ma con i bilanci proprio non ci sanno fare. L’Accademia è un ente pubblico non economico, sottoposto alla vigilanza del Mibac, il ministero per i Beni e le Attività culturali, ed è incluso nell’elenco delle amministrazioni inserite nel conto consolidato tra gli enti produttori di servizi ricreativi e culturali. Da sempre persegue l’obiettivo di sostenere la lingua italiana nel suo valore storico di fondamento dell’identità nazionale. Un’attività che promuove anche all’estero. I numeri, sia ben chiaro, sono sostanzialmente in regola. E questo le toghe lo certificano nella loro relazione relativa al controllo eseguito sulla gestione finanziaria.

Ma sottolineano un problema serio legato ai residui di bilancio, ossia al dato prodotto dalla differenza tra le entrate che si prevedevano di incassare a inizio anno e le riscossioni (ovvero le entrate effettivamente incassate). Finché il ministero è stato guidato da Dario Franceschini i papocchi nella contabilità della Crusca sono rimasti sotto il tappeto. Nel mese di dicembre 2018, invece, dal ministero hanno rilevato «la non corrispondenza dei valori dei crediti e dei debiti indicati rispetto a quelli risultanti come residui nel rendiconto finanziario al termine dell’esercizio». Insomma, se per i crediti non dovessero esserci tutte le pezze d’appoggio, ci si potrebbe trovare davanti a un bilancio con un importante dato gonfiato.

E su questo punto, infatti, i giudici contabili sono fermi: «Si evidenzia che l’ente è tenuto a esplicitare le motivazioni di ogni scostamento o anomalia dei dati iscritti nei conti nella nota integrativa, al momento molto sintetica, che deve fornire informazioni dettagliate circa l’andamento della gestione». Tradotto dallo slang giuridico, le toghe chiedono più trasparenza.

In una nota del 19 marzo scorso indirizzata al Mibac e al Mef, il ministero dell’Economia e delle finanze, la Crusca ha tentato un chiarimento, spiegando che quei soldi inseriti in bilancio, oltre 400 mila euro, riguardavano somme per la realizzazione di progetti pluriennali «ai quali», si legge nel documento, «non corrispondono debiti certi alla fine dell’esercizio». Ed ecco che i giudici invitano la Crusca alla «prudenza». Le bacchettate sono due: «Le componenti non effettivamente realizzate non devono essere contabilizzate»; «si invita l’ente a perseguire l’obiettivo di una più efficace gestione dei residui, verificando la sussitenza dei presupposti per la permanenza in bilancio, visto l’arco temporale a cui si riferiscono e gli elevanti importi, anche monitorando in modo puntuale e sistematico lo stato di attuazione dei progetti».

Dall’ufficio ragioneria dell’Accademia difendono la loro scelta: «Si è preferito creare un vincolo di destinazione sul bilancio». E quei fondi, sostengono, verranno usati nel triennio 2017-2019. «La spesa» fa sapere il professor Marazzini tramite il suo ufficio stampa «è andata tutta a favore di giovani studiosi, su temi legati alla lingua italiana».

Ma la Crusca, sostengono i giudici contabili, è ancora legata a una mentalità pubblica troppo generosa. I contributi ministeriali, che rappresentano ancora il 90 per cento delle entrate, sono in calo rispetto al passato. Per questo motivo la Corte dei conti ha deciso di far suonare un campanello d’allarme, invitando l’ente di studio a «implementare le attività dirette alla realizzazione di entrate proprie». Nel 2017 è stato versato nelle casse quasi il 20 per cento in meno rispetto all’anno precedente. E, svelata l’astuzia usata per i residui di bilancio, presto l’Accademia potrebbe scoprire di aver seri problemi a far di conto. n

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