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2015: che mondo sarà

Dall'Isis alla crisi ucraina: le più significative vicende del 2014, le prospettive geopolitiche dell'anno che sta per cominciare

Per Lookout news

L’anno che stiamo per lasciarci alle spalle è stato caratterizzato a livello geopolitico da una serie di crisi internazionali ad alto rischio che, solo sommariamente e dimenticandone inevitabilmente alcune, possiamo individuare soprattutto in due aree geografiche, ovvero le regioni nordafricana-mediorientale e quella dell’est europeo.

 Nel primo caso, dovremo parlare della fine della parabola delle Primavere Arabe, segnata principalmente dal voto democratico in Tunisia (unico evento segnatamente positivo) ma anche della presa del potere da parte dei militari in Egitto e della contestuale disintegrazione della società libica, le cui fughe verso l’ignoto e la guerra preoccupano non poco.

La Casa Bianca al momento lavora dietro le quinte per trovare una sponda politica interna alla Russia che li aiuti a defenestrare il presidente Putin

Tunisia ed Egitto
La Tunisia, Paese dal quale tutte le primavere sono scaturite, è riuscita nella sintesi di un percorso istituzionale che ha visto varare una nuova costituzione laica, ha conosciuto una sintesi matura tra elettorato islamista e non, e oggi vede la presenza in parlamento di un equilibrio sancito dai due partiti principali, i laici di Nidaa Tounes e gli islamisti di Ennahda. La loro capacità di dialogo e sintesi politica è stata evidente con l’elezione di Beji Caid Essebsi, un “pezzo da novanta” laico e ben visto dalle élite diplomatiche europee, Francia in primis.

 L’Egitto ha invece risposto con durezza alle istanze della piazza. I musulmani sono stati protagonisti di una lunga stagione di proteste, culminata con la vittoria elettorale della Fratellanza Musulmana nel 2012. Ma questo successo è andato sprecato da una pessima gestione della cosa pubblica da parte del presidente Morsi, eletto dai Fratelli Musulmani con grandi speranze, ma rivelatosi presto inadatto e fragile. Per questa ragione, il potere dei militari è divenuto l’argine all’instabilità. Il colpo di Stato in Egitto, attuato nel luglio 2013 ed eseguito come da manuale, ha così portato alla presidenza Abdel Fattah Al Sisi, ex generale e attuale uomo forte del Paese, unico in grado di rappresentare l’ordine e la stabilità, come dimostrato lungo tutto il 2014.

 

Lo Stato Islamico in Siria e Iraq
Alla moderazione delle popolazioni musulmane che hanno scelto di emanciparsi dal radicalismo religioso, si è però sostituito in Medio Oriente un fenomeno ben più pericoloso, rappresentato dalle milizie sunnite dello Stato Islamico in Siria e Iraq. L’organizzazione jihadista, nata dall’insofferenza delle fazioni musulmane sunnite nei confronti della dirigenza sciita irachena (a causa di una politica di esclusione dal potere ad opera degli sciiti), ha così portato l’ala militare sunnita dell’esercito a imbracciare le armi e muovere guerra a Baghdad, requisendo manu militari quasi tutto il nord e l’est dell’Iraq.

Da giugno a oggi, ISIS ha colmato un vuoto politico (Iraq) e si è inserito in una guerra civile (Siria), non solo imponendosi militarmente in larga parte della Mesopotamia, ma ricreando anche una forma di Stato che risale alle origini della società araba musulmana, il Califfato.

Una mossa che rischia di oscurare i successi delle borghesie arabe che sono riuscite ad emanciparsi dall’involuzione religiosa radicale, perché ISIS si è rivelato capace di attrarre verso sé nuove generazioni di musulmani provenienti da tutto il mondo e pronti a immolarsi per la causa del Califfo.

Causa che però appare vana, in quanto la forza propulsiva dimostrata dalle truppe dello Stato Islamico si è arrestata e nel 2015 non potrà che conoscere ulteriori battute d’arresto, fino al radicamento nelle sole aree sunnite dell’Iraq o fino alla sua definitiva scomparsa. Molto dipenderà dalle sorti, ancora sospese, della guerra civile in Siria (che ormai ha superato il quarto anno) dove, oltre alla presenza delle milizie dello Stato Islamico, s’intrecciano gli interessi di Mosca e Washington, che combattono una partita di ben più ampio respiro.

Di Israele e Palestina, invece, non molto conviene dire neanche per il 2015, poiché si rischia di cadere in un esercizio retorico dove all’analisi politica dell’esistente si sostituiscono solo speranze e buoni propositi, e mai fatti decisivi o innovativi per la futura creazione di due Stati.

 

Ucraina stretta tra Russia e Stati Uniti
L’acuirsi della virulenta crisi in Ucraina nel 2014 è invece lo specchio dei pessimi rapporti cui sono giunte le attuali amministrazioni di Washington e Mosca. L’involuzione del dialogo tra Russia e Stati Uniti ha riavvolto il nastro delle relazioni tra i due Paesi, riportandolo ai tempi in cui il muro di Berlino era ancora in piedi. Ci si è messa di mezzo persino Cuba - che col nuovo anno godrà di relazioni diplomatiche con Washington - nel braccio di ferro tra Vladimir Putin e Barack Obama, con un punto messo a segno da quest’ultimo nonostante il 2014 sia stato caratterizzato dalle azioni del presidente russo.

 Putin può a ragione essere definito l’uomo dell’anno 2014, perché è stato capace di tutto: riavvicinare la Siria di Assad all’Occidente, facendosi consegnare l’arsenale chimico; ammansire l’Iran per avviare la strada dei colloqui sul nucleare con le potenze mondiali; annettere la Crimea, togliendola all’Ucraina e difendendo l’Est ucraino dal governo legittimo di Kiev.

 Ma l’ultimo trimestre ha rivelato anche le molte fragilità del Cremlino: l’economia energetica e di conseguenza quella nazionale al momento non viaggiano più ai livelli sperati, il Paese si è avvitato nella ricerca di partner strategici alternativi ai mercati abituali, mentre le sanzioni economiche comminate dall’Occidente in risposta alla difesa dell’Est ucraino e il crollo del prezzo del petrolio hanno fatto il resto, scatenando una spirale discendente del rublo e dell’economia nazionale, per risollevare la quale occorreranno almeno un paio d’anni. Da ciò se ne può dedurre che la scelta di Putin nel 2015 potrebbe essere di moderazione e basso profilo.

 

Prospettive per il 2015
Il 2014, tutto sommato, è stato un anno di passaggio e la soluzione a molte delle vicende sin qui enucleate potrà trovare risposta più avanti. Lo Stato Islamico in Siria e Iraq, ad esempio, potrebbe essere definitivamente sconfitto nel corso del 2015, mentre a giugno potrebbero aprirsi spiragli concreti per un accordo sul nucleare in Iran. Più difficile prevedere una pacificazione in Siria che, in ogni caso, resta all’ordine del giorno una volta risolto il dilemma del mantenimento al potere o meno di Bashar Assad (cosa per la quale servirà l’assenso di Mosca).

 Gli Stati Uniti, in piena ripresa economica e con un presidente libero di agire negli ultimi due anni al potere, saranno il vero ago della bilancia, per quanto questo sia anche un fatto molto pericoloso. La Casa Bianca, infatti, al momento lavora dietro le quinte per trovare una sponda politica interna alla Russia che li aiuti a defenestrare il presidente Putin. Un ennesimo tentativo di destabilizzazione volto ad accrescere il potere della NATO in Europa, che potrebbe minare una soluzione pacifica della guerra in Ucraina. Al contrario, se Vladimir Putin si rivelerà prudente, riuscirà a disinnescare la bomba piazzata sotto la sua poltrona e potrà impedire che gli USA proseguano nella strategia di una riedizione della Guerra Fredda, riconoscendo la necessità di un maggior dialogo.

 Parimenti, nel 2015 la crisi in Europa potrebbe allentarsi e anche la nostra economia ripartire. I segni indelebili che l’anno 2014 lascia in eredità all’Italia sono riscontrabili principalmente nella contrazione economica che abbiamo scoperto mordere ancora. Al nuovo presidente della Repubblica il compito di contribuire a fare del nostro Paese una penisola di stabilità e progresso, senza cedere alle sirene del disfattismo e di quel compromesso gattopardesco che ha annichilito la politica italiana, rendendola nauseante e impotente a incidere positivamente sul futuro, certo migliore, che questo Paese merita.

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Luciano Tirinnanzi