Wagner contro Verdi: quando la sfida è retorica
Musica

Wagner contro Verdi: quando la sfida è retorica

L’anniversario nasconde un finto duello. Dove a vincere è la musica

C’e gente che ha la vocazione alle domande stupide. Incomincia con i bambini: "Vuoi più bene alla mamma o al papà?". Quasi un’eliminatoria crudele. E poi: Dante o Leopardi? Papa Wojtyla o qualche altro? Nel 2013 compiono 200 anni insieme e comincia a infuriare la domanda: Giuseppe Verdi o Richard Wagner?

La mania di stilare le classifiche, non importa chi e come, colpisce particolarmente quelli che non si son mai messi in gara. Questi due giganteschi musicisti sono semplicemente diversissimi. Uno è capace di affrontare e di esprimere con pienezza miracolosa i sentimenti di eroi e di gente comune: «Pianse e amò per tutti» cantò Gabriele D’Annunzio. L’altro, di inventarsi miti antichi a modo suo, di ingigantire e sconfinare nella grandezza del canto e dell’orchestra, nell’ardimento dell’armonia. Da venerare, da studiare con rispetto tutt’e due. Eppure, nel secondo Ottocento, quando ancora scrivevano, in Italia c’erano proprio due tifoserie. A Bologna, che aveva adottato Wagner, trovavano Verdi troppo vicino alla musica popolare; erano capaci di investire i verdiani al suono di zum-pa-pazum-pa-pa, irridendo un accompagnamento tipico di melodie, senza badare che a volte erano vertiginose. Ma a Firenze, alla prima del Parsifal di Wagner, incurante della sublime meraviglia di quella smisurata partitura, qualche loggionista che aveva perso l’ultima diligenza, quando all’ultimo atto arrivarono solenni e cadenzati i Cavalieri del Graal, esclamò forte: "A cotest’ora, di cotesto passo, figli di puttana?".

Per fortuna la storia non porta solo guasti. Adesso sapere parlare alla gente non è più un indizio sospetto di volgarità. La musica scava anche nella nostra riottosa società le sue ragioni. Si è persino superata la repulsione verso Wagner causata dal nazismo che ne aveva fatto un simbolo della superiorità ariana. E se è vero che Woody Allen ha raccontato in un film che dopo un atto della Walkiria gli era venuta voglia d’invadere la Polonia, è anche vero che un grande regista come Graham Vick mettendo in scena quell’opera ha affidato il ruolo di capostipite di quell’eroica razza a un cantante di pelle nera.

Si può, quasi si deve amare l’uno e l’altro. Anche in Italia Verdi (sempre più mitico) e Wagner (aiutato dai sopratitoli) procedono senza incontrarsi per la loro strada. E in mezzo alle nostre vite, trascinandoci verso qualcosa che ha il vortice dell’infinito.

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Lorenzo Arruga