Sanremo 2015, KuTso: "La finale è già una vittoria"
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Sanremo 2015, KuTso: "La finale è già una vittoria"

Parla Matteo Gabbianelli, frontman dell'imprevedibile band romana che è arrivata a un passo dalla vittoria nelle Nuove Proposte

Giovanni Caccamo ha trionfato nelle Nuove Proposte di Sanremo con la sua accattivante Ritornerò da te, ma per molti spettatori i vincitori morali tra i giovani sono i romani KuTso, che hanno riportato in auge il teatro-canzone sul palco del Teatro Ariston.

Il balletto sghembo del frontman Matteo Gabbianelli, sulla falsariga di Ian Curtis dei Joy Division ma decisamente più gioioso, è già un cult. La trovata del chitarrista Donatello Giorgi di vestirsi con la tendina della doccia, indossando la maschera di Carlo Conti, è stato un geniale colpo di teatro.

Dietro agli effetti pirotecnici, però,  c’è una band che ha macinato chilometri e palchi negli ultimi nove anni, acquistando concerto dopo concerto una sempre maggiore credibilità e una vasta fanbase, fino a calcare il prestigioso palco del Concertone del Primo Maggio nel 2014.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Matteo Gabbianelli, frontman dei KuTso, che si è raccontato davanti ai nostri microfoni con la stessa simpatia e arguzia che emerge dalle sue esibizioni.

Matteo, so che te l’hanno già chiesto un milione di volte i miei colleghi in questi giorni, ma vuoi spiegare anche ai lettori di Panorama da dove deriva il nome KuTso(che si legge come l’accezione volgare del membro maschile n.d.r.)?

“In realtà non c’è un motivo preciso. Era il modo che avevo di scrivere le parolacce sui banchi di scuola. KuTso lo scrivevo ovunque, mi piaceva leggerlo, è una cosa che mi sono portato dietro per anni. Quando questo progetto ha preso quota, nel 2006, diventando un gruppo a tutti gli effetti, ho pensato a questo nome. Già io mi facevo chiamare KuTso. Era una cosa che covavo da anni, come la farfalla che finalmente è uscita dal bozzolo. Un nome così o fa storcere il naso alle persone o può risultare geniale, è una provocazione, non passa certo inosservato. Non avremmo mai pensato che i KuTso sarebbero arrivati un giorno in finale a Sanremo tra le Nuove Proposte”.

E’ più la gioia di arrivare secondi a Sanremo, un risultato clamoroso alla vigilia, o più la delusione di essere arrivati a un passo dalla vittoria per vederla poi sfumare?

"Il nostro obiettivo, inizialmente, era quello di arrivare sul palco di Sanremo ed avere questa incredibile esposizione mediatica. Poi, una volta passata la prima serata, ci siamo detti: ‘Bello, adesso ci aspettano altri due passaggi’. Quando siamo arrivati in finale un po’ abbiamo iniziato a crederci, sapevamo che era forte la trovata della doccia. La vittoria è diventato un obiettivo in corsa, non iniziale. Abbiamo tentato il tutto per tutto, ma Giovanni Caccamo ha cantato bene, meglio di me, ha meritato la vittoria. Io ho fatto molto casino, privilegiando lo spettacolo rispetto all’esecuzione. E’ giusto così, perché Sanremo è il festival della canzone”.

La trovata della doccia e il tuo balletto sono diventati già due cult sulla rete. Come sono nati?

“ A un certo punto della mia vita ho accettato di non saper ballare e ho iniziato a fare quello che mi pareva sul palco. Mi sono guardato allo specchio e io stesso, quando ho visto quei movimenti, mi sono messo a ridere, sono spettacolari, a modo loro. Mi piace fare il cretino sul palco, fare movimenti antiestetici: non mi frega nulla di essere figo e lo mostro senza imbarazzo. Quel ballo è pura vitalità incontrollata. Per quanto riguarda la doccia, una volta che siamo arrivati a Sanremo abbiamo sentito il dovere di dare il massimo e di curare ogni minimo particolare, come se fosse un concerto di Michael Jackson. Anche le magliette che indossavo, fatte da Stefano Mancini, sono state pensate con cura. Donatello ha creato i suoi costumi, abbiamo visto insieme le foto, alcuni li abbiamo scartati, altri li abbiamo approvati per ciascuna delle serate. La doccia è stata una sua idea geniale. Ci siamo detti: ‘Quando si apre la doccia non puoi essere normale, essere semplicemente te stesso. Deve esserci qualcosa di assurdo: un mostro o la faccia di Carlo Conti’. Quando è uscita fuori questa cosa, abbiamo riso e deciso di provarla. Magari qualcuno si poteva anche arrabbiare, invece è andata bene. Nel pop non puoi limitarti a cantare una canzone, ma devi offrire uno spettacolo che non è soltanto auditivo ma anche visivo. Noi siamo i primi a metterci dalla parte di chi ci guarda e ci ascolta”.

I KuTso sono un gruppo che è cresciuto attraverso un’intensa attività live in giro per l’Italia. Che cosa si prova a passare da locali anche grandi a un pubblico di undici milioni di persone?

“Quando saliamo sul palco non pensiamo a questo aspetto, anche perché, per fortuna, gli undici milioni di persone sono in quel momento solo l’obiettivo di una telecamera, non fanno tutta quell’impressione. C'è stata molta più tensione sul palco del Primo Maggio a San Giovanni, perché là le 700.000 persone le hai davanti a te. Non puoi pensare a quanta gente ti vede in quel momento se no ti pietrifichi, meglio concentrarsi sul pubblico del Teatro Ariston o, nel mio caso, sulla telecamera. Tutti noi eravamo concentrati su quello che dovevamo fare”.

Che cosa pensate di essere riusciti a trasmettere di voi come gruppo attraverso Elisa  e cosa magari avete paura di non essere riusciti a dimostrare in quei quattro minuti?

“Un brano mostra solo un aspetto della tua musica. Elisa è una canzone d’amore sui generis, che prende in giro le canzoni d’amore riportando questo sentimento a una cosa molto concreta, lontana dai soliti aulicismi sanremesi. Per noi l’amore è qualcosa di fisico, che puoi constatare e toccare. E' stato fondamentale l'apporto di Alex Britti, da anni un mio caro amico, che, oltre a coprodurre il nostro nuovo album, ha trovato lo special che è servito per far spiccare il volo alla canzone. Sicuramente sono usciti fuori gli aspetti della follia, del divertimento, dello sberleffo romano. In fondo chi se ne frega che stai sul palco di Sanremo, il messaggio che mi piacerebbe passare è che non bisogna avere paura di quella che può sembrare l’autorità, l’istituzione, il contesto ufficiale. In quel momento sei semplicemente una persona davanti ad altre persone, non ti devi far spaventare dalla magnificenza della cornice in cui ti trovi. Magari qualcuno avrà pensato che siamo solo quattro pazzi che fanno casino. L’importante è che gli spettatori abbiamo provato piacere con la nostra musica. Chi comprerà il nuovo disco Musica Per Persone Sensibili potrà apprezzare anche gli altri aspetti”.

Che cosa cambia per voi dopo l’esperienza di Sanremo?

“Speriamo con tutto il cuore che ci sia un massiccio airplay del pezzo. Sta andando molto bene, siamo i primi tra le Nuove Proposte in radio ed è già una grandissima soddisfazione. Vediamo che succede, noi abbiamo già le date del tour programmate, bisogna vedere che cosa sarà cambiato grazie a Sanremo”.

Come definiresti la vostra musica? Ho sentito spesso “rock demenziale”, ma mi sembra un’etichetta  limitante.

“Capisco che se uno va a Sanremo vestito da doccia e parla di petting può scattare questa etichetta, ma non è così. Il grande pubblico magari conosce poco Iggy Pop e gli artisti punk che fanno queste cose abitualmente senza essere considerati demenziali. In Italia dobbiamo razionalizzare tutto e incasellarlo in una definizione rassicurante. Se dovessi descrivere la nostra musica, direi “quello che ci pare”.

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Gabriele Antonucci