Pink Floyd: la vera storia dei brani per Zabriskie Point
Musica

Pink Floyd: la vera storia dei brani per Zabriskie Point

In esclusiva un estratto da Pink Floyd. Storie e segreti

L'incontro tra I Pink Floyd e il regista di Zabriskie Point, Michelangelo Antonioni. Il testo qui sotto, tratto da Pink Floyd. Storie e segreti (Giunti) ricostruisce la vera storia della collaborazione tra il regista italiano e la band inglese chiamata a comporre le musiche del capolavoro di Antonioni. Autori del volume sono The Lunatics: Nino Gatti, Stefano Girolami, Danilo Steffanina, Stefano Tarquini e Riccardo Verani. Il capito relativo a Zabriskie Point è stato redatto anche grazie alla ricerca e alla supervisione dell'esperto Walter Romanus Donati, studioso romano da anni impegnato nella ricostruzione storica della vicenda Zabriskie Point.  Buona lettura!

Zabriskie Point: l'album perduto

Il progetto Zabriskie Point piombò sui programmi dei Pink Floyd totalmente inaspettato. Nell’autunno del 1969 la band stava attraversando un periodo complesso, frutto della ricerca di un affrancamento musicale e d’identità che non fosse il riflesso di Syd Barrett. Ummagumma era stato appena pubblicato nel Regno Unito e i ragazzi già stavano pensando a un nuovo progetto, qualcosa di grande e impegnativo, un lavoro che comprendesse l’impiego di un’orchestra. Steve O’Rourke ricevette una telefonata dagli uffici della Metro Goldwyn Mayer. Oggetto: un’offerta di collaborazione per il nuovo film di Michelangelo Antonioni. Il manager avanzò una richiesta talmente alta che all’inizio fu respinta ma che venne poi accettata per la determinazione del regista ad avere i Floyd per la sua opera. Il progetto Zabriskie Point sconvolse i piani in agenda, scosse gli animi e suscitò entusiasmo. Poteva essere l’occasione del grande salto in fatto di notorietà; la precedente produzione di Antonioni, Blow-up, aveva sbancato i botteghini e la caratura del regista avrebbe conferito al nuovo lavoro la giusta dose di richiamo a livello internazionale.

I reciproci percorsi artistici si incontrarono dopo essersi sfiorati più volte. Già nel 1966 Antonioni ebbe modo di vedere i Floyd dal vivo mentre vagava insieme a Monica Vitti in una pazza notte londinese alla Roundhouse, per il concerto organizzato per il lancio di IT. Nell’estate del 1968, mentre la troupe si trovava in California per iniziare le riprese di Zabriskie Point, la band era in tour negli States per promuovere l’uscita di A Saucerful Of Secrets. I Floyd erano considerati hip, specialmente in California, e Antonioni fiutò nell’aria l’occasione inserendo un primo piano del retro di Saucerful nelle prime riprese del film girate quell’estate (foto pag. 68). Nonostante Michelangelo Antonioni avesse l’età di un anziano padre o di un giovane nonno per i ragazzi dell’epoca, era persona attentissima ai cambiamenti, costantemente alla ricerca del nuovo sforzandosi di capirne i meccanismi. Per girare Blow-up, e ancor più per questa nuova produzione in California, si circondò di giovani, consultandoli, osservandoli ed elaborandone le idee, formando il gruppo di lavoro più giovane mai esistito prima nella storia di Hollywood. Il che preoccupò non poco le alte sfere della MGM.

Nell’estate del 1969, archiviata la lunga parentesi romana dedicata al montaggio di Zabriskie Point, Antonioni era tornato negli States con una serie di impegni in agenda. Fra questi, il più impellente era la lavorazione di un’adeguata colonna sonora che fosse all’altezza del girato. Il destino si stava compiendo. Durante una delle sue errabonde nottate californiane, il regista si presentò alla KPPC FM Radio Station di Pasadena, la radio libera più ascoltata della zona, all’epoca situata nei sotterranei della chiesa presbiteriana di Colorado Boulevard: voleva conoscere Don Hall, il più famoso Dj di quella radio, che conduceva il suo programma musicale dalle 20 a mezzanotte. Il grande regista trovò in quel vulcanico americano una persona di indubbio interesse e lo invitò ad andare già il giorno dopo agli studi della Metro Goldwyn Mayer di Culver City per visionare il film. Dopo pochi giorni Don incontrò di nuovo il regista al Beverly Hills Hotel e gli consegnò una lista di canzoni di vari artisti che trasmetteva spesso nel suo programma radiofonico. Dopo quasi un mese di silenzio, improvvisamente Don ricevette, pressoché contemporaneamente, una lettera da Roma in cui Antonioni gli confermava quasi tutti i pezzi del suo elenco e una chiamata dalla MGM che lo assumeva per il ruolo di consulente musicale del film, invitandolo a raggiungere subito Antonioni a Roma.

Grazie ai pezzi selezionati da Don Hall, Zabriskie Point aveva già la base musicale per tutte le scene minori nel deserto. Ora Antonioni desiderava che le scene più importanti del film fossero descritte da musiche originali, scritte appositamente per la pellicola. Vennero contattati The Band e i Rolling Stones, ma non se ne fece nulla. Il manager di Robertson & Co rifiutò. Antonioni chiese senza molta convinzione tre o quattro pezzi agli Stones. Keith Richards e Mick Jagger giudicarono oneroso l’impegno e per cambiare i loro programmi chiesero una grossa cifra e manifestarono l’intenzione di scrivere l’intera colonna sonora. Si raggiunse l’accordo solo per l’eventuale inserimento nel film (ma non nel disco ufficiale) di You Got The Silver, uno dei pezzi segnalati al regista da Don Hall.

Ottobre era ormai agli sgoccioli e la MGM, che aveva già speso una fortuna per Zabriskie Point, aumentò la pressione su Antonioni mirando all’obiettivo di fare uscire il film per Natale. È in questo frangente che il regista ebbe la folgorazione per i Pink Floyd. Complice fu la compagna dello stesso Antonioni, l’inglese Clare Peploe, anche cosceneggiatrice del film, che era tornata da un viaggio in Inghilterra con molti dischi nuovi, fra i quali Ummagumma. L’album fu ascoltato su un piccolo stereo a casa del regista, alla presenza della compagna e di Don Hall. Antonioni ascoltò e riascoltò con interesse l’opera. Rimase particolarmente impressionato da Careful With That Axe, Eugene e confidò al Dj americano che una versione speciale del pezzo avrebbe potuto essere una soluzione ottimale per la scena finale del film. In breve decisero di provare a ingaggiare i Pink Floyd.

Dopo gli accordi presi con la MGM, agli inizi di novembre 1969 Steve O’Rourke volò a Roma, da solo, per organizzare i dettagli della trasferta. Un primo ostacolo fu l’indisponibilità diurna degli Studi International Recording di via Urbana, prenotati per mesi. Considerati i tempi ristretti e le pressioni della MGM, la band fu inserita in fascia notturna. L’hotel designato fu il Massimo D’Azeglio, a poco più di trecento metri dagli studi, lo stesso in cui alloggiò anche Don Hall e lo stesso in cui i ragazzi soggiorneranno in occasione del concerto al Palasport del giugno ’71. Anche le altre formalità organizzative furono messe a punto in pochi giorni, così come furono cancellati alcuni impegni in calendario per permettere la piena disponibilità al progetto di Antonioni.

Il 16 novembre i Floyd giunsero a Roma accompagnati dai fidati Alan Styles e Peter Watts, da poco gratificati dalla presenza sul retrocopertina di Ummagumma.  La sera stessa si ritrovarono tutti nello Studio 1, il più grande degli International Recording: c’erano i Pink Floyd, Alan e Peter, Don Hall, Michelangelo Antonioni e il tecnico messo a disposizione dallo studio, Maurizio D’Achille.

Si cominciò da una prima proiezione del film. Furono mostrate le scene già coperte dalla musica suggerita da Don Hall e quelle per le quali i Pink Floyd erano stati ingaggiati. Furono prese opportune precauzioni, come ci ha raccontato il tecnico italiano: Antonioni infatti aveva voluto oscurare le finestre dello studio per evitare che occhi indiscreti potessero godersi qualche anteprima della pellicola. Il regista chiese in particolare di comporre musica originale di forte carica emozionale ma non troppo invadente per non offuscare l’impatto delle immagini. In ordine: la scena iniziale, gli incidenti al campus, il decollo e il volo su Los Angeles, la lunga scena d’amore e la spettacolare scena finale.

A questo punto accadde qualcosa di importante. Steve O’Rourke e Roger Waters si appartarono e parlarono per un po’. Quindi Steve chiese ad Antonioni se i Pink Floyd avrebbero “potuto provare” a musicare l’intera colonna sonora del film. Il regista, che riteneva Ummagumma un capolavoro, acconsentì. Don Hall, a questo punto, spiegò ai ragazzi che tipo di brani avrebbero dovuto comporre per le scene in cui la musica proveniva sempre da radio o jukebox: le stesse scene coperte dalla lista di canzoni che tempo prima aveva girato ad Antonioni. Le musiche non dovevano avere nulla di impegnativo, ma “profumare d’America”. Darne l’idea.

È importante sottolineare come questa sia stata la prima e unica volta in cui Antonioni pensò veramente di affidare tutta la colonna sonora a un solo gruppo o a un solo artista.

L’idillio, peraltro, durò poco. I primi sintomi di insofferenza giunsero appena i Pink Floyd si misero comodi sul palco alla destra del grande schermo e cominciarono i loro rituali di approccio con il nuovo studio, tirandola un po’ per le lunghe fra accordi e piccoli frammenti strumentali. Il regista probabilmente si aspettava che i ragazzi attaccassero il jack e cominciassero a produrre musica di botto, magari con idee già elaborate. Ma la band non aveva portato niente di preparato, e tutto quello che produsse in quei giorni lo tirò fuori dal nulla, come ben sapeva fare. Questo però aveva i suoi tempi, tempi che non erano certo quelli di Antonioni. Don Hall ebbe il suo bel da fare, quella prima notte di lavoro, per spiegare al Maestro che quelli che ascoltava erano solo accordi di una progressive band e non la musica che avrebbero realmente proposto. La prima notte bianca si concluse, quindi, con un principio di annuvolamento che cominciò a offuscare la visione estremamente positiva che Antonioni aveva dei Pink Floyd. Il regista disse a Don Hall che forse i ragazzi erano troppo inglesi per quella colonna sonora.

Le sedute entrarono nel vivo durante le notti successive. I titoli provvisori furono scelti dai Pink Floyd e in gran parte basati sulle scene da musicare. Inizialmente la band produsse una mole di musica inaspettatamente copiosa rispetto alla norma. Fu notato che il gruppo di gentilissimi  inglesi era solito raccogliere pedantemente anche il più piccolo pezzo di nastro da portare nel vicino hotel alla fine di ogni seduta. Antonioni, fedele alle sue abitudini, gestiva le sedute con l’intenzione di mantenere un controllo pressoché totale sulla produzione musicale: i musicisti dovevano essere come strumenti che dovevano suonare come voleva lui. I Floyd trovarono qui un ambiente totalmente diverso dalle loro esperienze a proposito di colonne sonore. In questo caso lavoravano per la MGM – una grande major –, per un grande regista che avrebbe avuto da ridire anche con gruppi come Beatles o Rolling Stones, supportato da un musical advisor come Hall, che in parte li seguì persino a Londra. Antonioni era attento a ogni minimo dettaglio e presenziò a quasi tutte le sedute di registrazione romane. Stando ai racconti del tecnico dello studio, il regista  aveva addirittura preparato un lettino a fianco del gabbiotto di regia per riposarsi durante le rifiniture tecniche dei brani.

Piena soddisfazione ci fu subito per l’esecuzione di Explosions, titolo provvisorio della versione rivisitata di Careful With That Axe, Eugene. Problemi veri, invece, si manifestarono durante i tentativi di musicare la scena d’amore. “Sì, bello. Mi piace”. Ma inesorabilmente, poco dopo, il regista confidava a Don Hall che l’abbinamento tra le immagini e la musica proposta era inaccettabile. Per ovvie ragioni, Don cercò sempre di evitare di riferire certe esternazioni in modo troppo diretto. Per la scena d’amore furono fatti molteplici tentativi, fra cui un blues di quasi otto minuti, un pezzo di solo vibrafono e una melodia struggente di piano solista. Alla fine prevalse Love Scene, il brano psichedelico e onirico, quello che i Floyd presentarono per primo e di cui esistono più versioni.

Antonioni continuava a chiedere aggiustamenti, correzioni o nuove versioni. Tre tentativi furono effettuati per il decollo e il volo sopra Los Angeles. Curiosamente, il titolo provvisorio della scena del decollo, Take Off, fu utilizzato nell’edizione francese del disco al posto del titolo definitivo Dark Star dei Grateful Dead, presente nel resto del mondo. Per le scene del deserto, quelle che i Pink Floyd avrebbero provato a musicare col permesso del regista (scene al di fuori di quelle espressamente richieste dall’ingaggio), si scelse di seguire un classico metodo a tema: composti un paio di brani, il tema sarebbe stato di volta in volta riarrangiato per le varie scene. Quasi subito Antonioni decise di lasciare la scena degli incidenti al campus senza commento musicale. Richard Wright aveva composto The Violent Sequence, un tappeto di pianoforte struggente e melodico che faceva da contraltare ai pestaggi sanguinari della polizia. Bocciato dal regista, il brano rimase nel cassetto per qualche anno, per poi riaffiorare come base melodica in uno dei pezzi più noti della discografia floydiana: Us And Them.

Alla fine delle operazioni, il completo gradimento del regista rimase solo per Careful With That Axe, Eugene, rifatta per la scena finale. Il tutto nonostante la grande mole di musica prodotta e il protrarsi delle sedute ben al di là dei programmi previsti.

I Pink Floyd ritornarono a Londra all’inizio di dicembre, portando in valigia un gran numero di nastri a otto tracce da cui ricavare le versioni finali per l’eventuale inserimento nell’album ufficiale della colonna sonora. Lavorarono ad Abbey Road sui pezzi selezionati da Antonioni, convinti che sarebbero stati usati. I due pezzi country furono completamente reincisi, mentre gli altri furono arricchiti di sovraincisioni e mixati stereo. Alla fine i pezzi preparati erano otto, sei dei quali furono spediti con i titoli finali a Don Hall in California a fine gennaio 1970.

Quello che i ragazzi non sapevano era che nel frattempo Antonioni continuava a cercare qualcosa di meglio. Durante il mese di dicembre il regista aveva chiesto brani originali a Musica Elettronica Viva, ai Kaleidoscope e a John Fahey, puntando ad avere qualcos’altro, in particolare per la scena d’amore. In definitiva, i pezzi dei Pink Floyd pubblicati sulla colonna sonora ufficiale furono solo tre. Gli otto pezzi originali sono quelli che tra i fan dei Pink Floyd sono noti come The Zabriskie Point Lost Album: l’album perduto di Zabriskie Point.

La totalità dei pezzi conosciuti delle sedute per Zabriskie Point ha tre diverse sorgenti. La prima è naturalmente la colonna sonora ufficiale con tre brani pubblicata nell’aprile 1970. La seconda è il bootleg Omayyad pubblicato nel 1972, che rese noti al mondo altri tre pezzi. Le origini di questo bootleg sono quanto mai curiose: tra il febbraio e il marzo 1970 Don Hall trasmise dalla radio KPPC-FM di Pasadena quei tre pezzi più la versione integrale di Crumbling Land, che erano stati scartati all’ultimo momento. Qualcuno registrò la trasmissione dalla radio. Il nastro arrivò successivamente alla Trade Mark of Quality, la prima etichetta discografica pirata, che ne fece Omayyad, disco non ufficiale di inediti. La terza e più cospicua sorgente è costituita dai lavori compiuti dalla Rhino Records per mettere insieme la versione estesa della colonna sonora nel 1997. Quattro pezzi furono pubblicati nella collezione come outtakes, altri tredici fuoriuscirono in qualche modo e li ritroveremo due anni più tardi in un CD bootleg intitolato A Journey Through Time And Space, sezione Outer Zabriskie. Il tutto circola tra i fan nelle varie collezioni, delle quali la versione più completa e aggiornata è titolata A Total Zabriskie Point Of View, che include anche The Christmas Song.

I più letti

avatar-icon

Panorama