Perché piace quel parruccone di Bach
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Perché piace quel parruccone di Bach

Il compositore non è mai stato così sulla cresta dell’onda come ora. Grazie anche a due sorprendenti esecutori

Johann Sebastian Bach era un parruccone e ci teneva: portava la parrucca a riccioloni ancora in pieno Settecento, quando da decenni non si usava più. Quanto alla musica, erano tanti che al suo tempo trovavano antiquata anche quella, perché non si piegava alle eleganze più facili dei giovani, tra cui stavano persino alcuni della sua ventina di figli, e tirava diritto per la sua strada. Sapeva più di tutti gli altri. Per esempio una volta, entrato in un salone, disse che se, voltato verso il muro, avesse sussurrato qualche parola, l’avrebbe udita chiara solo chi stesse nell’angolo opposto come lui; ed era vero. Forse sapeva anche che la sua musica, dall’angolo lontano d’un mondo fra Barocco e Illuminismo, avrebbe raggiunto nitida l’angolo opposto del Duemila, sempre meravigliosamente moderna.

In questi tempi si parla addirittura di un "nuovo Bach" persino nelle sedi inconsuete: per esempio a L’Infedele televisivo hanno suonato due suoi campioni, il pianista Ramin Bahrami e la violinista Sonig Tchakerian. Due tipi diversissimi. Lui, iraniano, figlio d’un architetto dello Scià, solo per questo imprigionato da Ruhollah Khomeini e morto in carcere. Da ragazzo, maldestro e spericolato, a rischio di carriera: con i pomodori si taglia anche un dito rattoppato dal medico a fatica, va a cavallo travestito da Zorro e deve poi girare con un gomito ingessato per settimane; ma quando suona neanche lui sa quale forza conduca le sue dita e la sua testa. Depresso dagli eventi, ascolta un giorno Glenn Gould suonare Bach ed è come facesse un voto: si dedicherà al grande autore per sempre. Lo mantiene. La sua entusiastica convinzione è che Bach possa vivere una serie di umori e quasi una serie di stili, da "speculativo" a "danzante", a "enigmatico"; e li caratterizza da concertista il cui tocco emozionante già rivela il suo destino, con il piacere di convincere e coinvolgere, come dicesse a ogni frase: "Sentite com’è bello? È per voi". Ha la faccia dello spaesato dei film che alla fine se li mangia tutti.

Lei, armena di Padova, presenza intensamente gradevole, ha la faccia severa che si apre d’improvviso in allegre risate melodiose. Suonava già piccolissima, avviata dal padre medico e violinista, suo maestro ideale. Vita raccolta, senza carrierismi: un marito pianista e direttore d’orchestra emergente, due figli brillanti, gran musica da camera allo storico Teatro Olimpico di Vicenza, 15 dischi, docente a Santa Cecilia. Suono luminoso, densissimo. Ma quest’anno un gesto di sfida: in pochi giorni, nella chiesetta degli Armeni a Venezia, incisione di tutte le sei Sonate e Partite di Bach, come se lo affrontasse, prima ancora che con tutta la sua dottrina, con tutta la sua vita.

Bach per violino solo è un prodigio di matematica e psicologia: spesso dispone intrichi di fraseggi e armonie come se disponesse di innumerevoli voci, e li affida, per accenni, allusioni e ritrovamenti, a quel piccolo strumento indifeso, invitando a immaginare tutta la costruzione. Nel farla capire, in genere, il violinista, rigido o caloroso, esaurisce il suo compito. Sonig invece rispetta questa sacra grandiosità precisa, ma cerca in ogni fraseggio, in ogni suono, quello che più l’abbia toccata (il "punctum" di Roland Barthes nella fotografia) con la pienezza della fantasia. "Suono per me" dice "e ognuno ascolterà a modo suo: l’unione col pubblico e fra il pubblico in Bach non avviene per programma, ma per comunione di esistenze".

E perché dunque sentiamo come «nuovo Bach» esecuzioni tanto differenti? Vi do un indizio. Un tempo si diceva: "È tanto grande che ai suoi esecutori chiede soprattutto fedeltà". Adesso invece si dice: "«È tanto grande che ai suoi fedeli chiede soprattutto libertà".

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Lorenzo Arruga