The National, la band che piace al Presidente Obama - Intervista
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The National, la band che piace al Presidente Obama - Intervista

Oggi in 130 sale italiane il rockumentary Mistaken for strangers

Quella di ieri è stata una lunga giornata romana per Matt Berninger, carismatico frontman dei The National, uno dei più importanti gruppi di alternative rock degli ultimi dieci anni. La sera ha mandato in visibilio i tremila spettatori della Cavea dell’Auditorium in un concerto  ricco di emozioni e di adrenalina. La mattina, invece, il cantante ha assistito all’anteprima stampa del rockumentary Mistaken for strangers (distribuito da The Space Movies e Universal Pictures) diretto da suo fratello Tom Berninger, che sarà nelle sale italiane solo il 24 luglio.

Il documentario, frutto di oltre 200 ore di registrazioni tra viaggi, concerti e backstage dei The National, non solo fornisce il ritratto inedito di una delle più importanti rock band di oggi, ma anche il rapporto tra due fratelli diversissimi tra loro. All’epoca delle riprese, durante il fortunato tour High Violet del 2010, Matt è già una rockstar, amatissimo dal pubblico e dalle donne, mentre Tom è un regista che ha girato due film horror di nessun successo e che vive ancora a Cincinnati a casa dei genitori. Mistaken for strangers alterna momenti di grande divertimento, soprattutto per i guai che combina il più piccolo dei fratelli Berninger, ad altri più privati e toccanti. Il documentario può essere apprezzato pure da chi non è un fan dei The National, anche se difficilmente resterà indifferente all’eccellente musica del gruppo americano, che alterna con naturalezza rock, dark, pop  e minimalismo da camera. Al termine della proiezione abbiamo scambiato alcune battute con i due fratelli Berninger, rilassati, disponibili e sempre con la battuta pronta.

Matt e Tom, lavorare insieme in Mistaken for strangers ha modificato il vostro rapporto?

Matt: “Il nostro rapporto si è evoluto durante il film e anche dopo, quando Tom è venuto a montarlo a casa mia, con l’aiuto di mia moglie. Mentre lui lavorava al film, i National preparavano il nuovo album. C’è stata una sorta di reciprocità, e mio fratello  è stato una fonte di ispirazione per le nuove canzoni dell’album”.

Tom, come le è venuta l’idea di un film sul tour dei National?

Tom: “E’ semplice: avevo bisogno di un lavoro e mio fratello me l’ha trovato. In realtà l’idea iniziale era di realizzare dei brevi filmati per il sito internet, non c’era ancora il progetto del film. Come avete visto dalle mie sbronze  e dai miei pianti, il mio coinvolgimento emotivo è stato totale. Allora ho a pensato a qualcosa di più complesso” .

Che cosa avete scoperto di nuovo, durante la lavorazione del documentario, l’uno dell’altro?

Matt: “E’ già difficile collaborare artisticamente con  persone diverse da te, ma lo è  in particolar modo con un fratello. Lo so bene, perché nei National ci sono due coppie di fratelli: da un lato c’è più affetto e coinvolgimento, dall’altro tendi a essere più diretto e brutale. Mio fratello è diverso da me, ma lo amo e lo rispetto. All’inizio del tour lo vedevo quasi come un rompiscatole, oggi come una persona adulta”.

Tom: “Matt ha un incredibile talento ed è una persona profondamente ottimista. Mi ha spinto lui a intraprendere questa avventura, io sto ancora combattendo contro il mio senso di inadeguatezza. Lui trova sempre l’aspetto positivo anche nelle situazioni negative e rimane focalizzato sulle soluzioni, mentre io tendo a deprimermi nelle difficoltà”.

Nel film sono evidenti le vostre differenze caratteriali. Che cosa avete, invece, in comune, a parte l’affetto fraterno?

Tom: “A parte l’affetto e a volte l’odio, abbiamo molto in comune. Ci piacciono le stesse cose, soprattutto quelle divertenti perché abbiamo sviluppato il medesimo sense of humour.”

Matt: “Siamo molto simili da tanti punti di vista, abbiamo le stesse radici, anche se ognuno ha la sua personalità e soprattutto un modo diverso di rapportarsi alle situazioni: è una cosa salutare, oltre ad essere l’ingrediente che rende così divertente il film”.

Tom, si può dire che il messaggio di Mistaken for strangers è quello di essere pazienti nei confronti dei propri progetti e dei propri difetti?

Tom: “Sì, è quello che mi ha detto anche Matt durante le riprese : le cose migliori accadono quando non ti preoccupi troppo di quello che pensano le persone intorno a te e rimani te stesso fino in fondo. Anche se è normale che un genitore, come accade con mia madre nel film,  ti spinga a dare il meglio di te e dica “sei tu il fratello con più talento”, sentivo comunque che avevo qualcosa da dimostrare con questo film. Spero di esserci riuscito”.

Matt, le vostre canzoni danno l’impressione di essere il frutto di un lungo processo creativo, data la ricchezza degli arrangiamenti. E’ sempre così, oppure alcune di esse prendono forma all’improvviso?

Matt: “C’è un lungo periodo tra un album e l’altro in cui accumuliamo idee, suoni e spunti, ma in realtà non esiste un processo standard. A volte un brano richiede molto tempo, e sei costretto a tornarci sopra tante volte perché non sei soddisfatto del risultato, a volte l’idea buona arriva in un attimo. Ogni canzone è diversa, ogni album è diverso, e a ciascuno concediamo il tempo che è necessario, senza forzarlo, con molto pazienza”.

Che cosa si prova ad essere uno dei gruppi rock preferiti dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama?

Matt: “Non so se siamo il suo gruppo preferito, forse preferisce James Taylor e Stevie Wonder, ma sappiamo di essere nella playlist del suo iPod. Ha adottato la nostra Mr November per la sua campagna elettorale, riempiendoci d’orgoglio. Lui dal vivo è una persona molto calorosa, dolce e divertente, è esattamente come lo si vede in televisione. E’ stato bello suonare per lui, anche se un po’ strano. Non c’erano i nostri fan, io preferisco fare show per chi ci conosce e ci segue da anni”.

Lei ha dichiarato che, grazie all’ High Violet Tour, i National ce l’avevano fatta e che potevano finalmente rilassarsi. Qual è il prossimo obiettiva della band?

Matt: “In realtà non abbiamo un obiettivo preciso, come non l’avevamo agli esordi. Mi ricordo uno dei nostri primi concerti, quindici anni fa,  in cui non c’era nessuno in sala. Quando sono tornato in albergo, sono scoppiato a piangere. Abbiamo messo tutta la tensione e tutta l’umiliazione subita nella nostra musica, così il pubblico si è accorto di noi e ha iniziato a seguirci. Mi auguro solo di continuare a scrivere canzoni nelle quali si possano riconoscere in tanti”.

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Gabriele Antonucci