Mogol, l'intervista: "Indovinate dove ho visto con Battisti Italia Germania 4-3"
Ufficio stampa
Musica

Mogol, l'intervista: "Indovinate dove ho visto con Battisti Italia Germania 4-3"

Una carriera leggendaria tra aneddoti, gaffes e canzoni immortali.

"Non mandate una bella canzone come Sincerità a Sanremo: rimarrete delusi". Era stato tranchant Mogol con Arisa e il giovane autore Giuseppe Anastasi, studenti modello del CET, la sua scuola di musica ed arte. "Volevo proteggerli, ma devo riconoscere che avermi disobbedito li ha portati al successo. Sono ragazzi di talento, non mi sorprende che abbiano trionfato all’ultimo Festival". 

Ne sa qualcosa di hit da classifica Giulio Rapetti, in arte Mogol: "Ci sono le mie parole" racconta "in almeno 110 canzoni che ogni italiano è in grado di riconoscere dopo cinque secondi".

Tra queste, non compare un brano dei suoi vent’anni intitolato Piccolo sole. "Avevo fatto tutto io: musica e testo. Convinsi Adriano Celentano a fare un provino davanti a mio padre che aveva creato la sezione musica pop della Ricordi. Mi avete portato una canzone che fa schifo, disse, e poi, questo qui come fa a cantare? Non senti che è tutto stonato?". Mogol è l’archivio vivente della golden age della musica leggera italiana, quando a contendersi il mercato c’erano «trentotto etichette discografiche e scrivere canzoni era un atto artistico slegato da qualsiasi operazione di marketing" racconta. 

"Il testo di Una lacrima sul viso l’ho inventato in macchina obbligando Bobby Solo a canticchiare a nastro, come se fosse un juke box, la musica delle strofe. Gli avevo raccontato di aver perso il foglietto con le parole della canzone. Non era vero: in realtà non l’avevo mai scritto e così il giorno dell’incisione mi sono salvato in extremis. Anche la seconda parte di Emozioni è nata in auto mentre trasferivo la famiglia dalla Brianza in Piemonte. Viaggiavamo su una Fiat 500 Giardinetta senza autoradio. Così, per tutto il tragitto, non ho fatto altro che ripetermi le parole del testo che prendeva forma nella mia testa. Pensi che disastro se me lo fossi dimenticato". 

Il sodalizio con Lucio Battisti è leggenda oltre che storia della musica: "Me lo portò in ufficio Christine Leroux, una talent scout francese. Mi stregò un sorriso, quello che fece quando gli dissi che mi aveva presentato due brani molto modesti. Sono d’accordo, sospirò, e sciolse la tensione sorridendo come un angelo". In pochi mesi diventarono i Re Mida del pop italiano. Colleghi complici, ma anche sempre più amici.

"La sintesi di quel momento magico fu il viaggio a cavallo da Milano a Roma. Partimmo in segreto preceduti da Mario Lavezzi e Oscar Prudente che si spostavano su una Land Rover con agganciata una roulotte. Erano le nostre vedette: dovevano individuare alberghi e stalle lungo le strade meno battute. Ma il segreto durò poco: ci avvistò per primo un giornalista che si era appostato lungo l’Appennino. Lo avvistammo perché aveva acceso un fuoco sul ciglio della strada: era per accogliervi con un caffè, disse venendoci incontro".

Cinquanta chilometri al giorno e una sosta impossibile da dimenticare: "Abbiamo visto Italia Germania (il mitico 4 a 3; ndr) vestiti da cavallerizzi in un bar sulla spiaggia vicino a Massa Carrara. Noi due dentro e i cavalli legati ad una staccionata all’esterno. Il mattino dopo siamo stati inseguiti dai bagnini infuriati perché gli zoccoli dei cavalli avevano messo a soqquadro la sabbia che avevano steso per ore". Era il 1970. L’anno successivo Mogol aveva pianficato una traversata del Po a nuoto, da Piacenza a Venezia. "Lucio, terrorizzato" ricorda "mi disse che il medico glielo aveva sconsigliato. Giulio, lasciamo stare, rischiamo un’artrite".  

Si emoziona Mogol quando gli scorrono nella mente le immagini di una carriera eccezionale: "Mi rivedo a casa di Mina nel 1960: ti canto questa canzone che secondo me dovresti incidere, le dico. E parto con Il cielo in una stanza di Gino Paoli. Ero così stonato che lei reagì male: Giulio, ma questo pezzo è inascoltabile, come ti è venuto in mente di propormelo? A quel punto chiamai Gino che arrivò e  sistemò tutto. Altri tempi, altra atmosfera" sospira.

Oggi, la sua vita è il CET la scuola che "forma i nuovi professionisti del pop". E qui il tono si incupisce: "Da noi si sono diplomati 2.500 ragazzi di talento, ma nessuno, da Sanremo ai talent show, mi ha mai chiesto: ce l’hai uno bravo da mandarmi? Ma che cosa è successo? Da quando non sono più di moda gli artisti di qualità?".   

I più letti

avatar-icon

Gianni Poglio