Macklemore: il nuovo re del rap arriva dallo zoo
Ufficio Stampa Warner
Musica

Macklemore: il nuovo re del rap arriva dallo zoo

Una star da 290 milioni di clic su Youtube. In concerto a Milano il 9 ottobre

Un nerd che ha pescato il jolly, un genio incompreso, il prodotto di una martellante campagna marketing? «No, sono solo uno che ci ha provato per 15 anni infischiandosene dei flop e dei fischi» racconta Ben Haggerty, in arte Macklemore, 30 anni, da Seattle, il nuovo re del rap. Una star da 290 milioni di visualizzazioni su Youtube a cui si sommano i 5 milioni di copie venduti con l’album The Heist e i due tormentoni estivi, Thrift shop e Can’t hold us, incisi con il complice e produttore Ryan Lewis.

«Per anni, mi sono esibito davanti a una trentina di fan hip hop del mio quartiere. A Seattle c’erano un paio di serate alla settimana tipo microfono aperto. Mi presentavo in un improbabile centro culturale con le mie rime, declamavo per 20 minuti come un matto nel deserto e me ne tornavo a casa a scriverne altre». No, attenendosi alla biografia non c’erano celebrità e ricchezza nelle aspettative di Haggerty. Il secondino in un carcere minorile e il guardiano dello zoo sono le prime voci, non esattamente glamour, del suo curriculum... «La seconda non è esatta. In realtà pulivo le toilette di Burger King e Pizza Hut all’interno dello zoo».

Si vende abilmente come un artista deciso a non avere scheletri dell’armadio: «Bevevo, mi drogavo e mi sono fatto rinchiudere in un rehab. Dopo tre anni di sobrietà ho rovinato tutto andando fuori di testa con un potentissimo sedativo per la tosse. Una ricaduta, ma adesso sono sobrio». E lucidissimo negli affari: la scelta di rimanere un artista indipendente che affida alle major solo la distribuzione delle sue canzoni lo ha reso ricco, molto ricco. «Io e la mia fidanzata, Tricia Davis, siamo un team micidiale. Tricia mi fa da tour manager e cura il merchandising. Che donna...».

Scaltro, attento a rimanere nei confini del politically correct, Macklemore, a differenza di molti colleghi rapper, non ha mai ceduto alla tentazione della battutina omofoba. Anzi, uno dei pezzi forti del suo repertorio, Same love, è un inno al matrimonio fra persone dello stesso sesso. «Al liceo credevo di essere gay. Mi emozionavo guardando il musical Cats e i compagni mi massacravano. Adesso mi chiedono l’autografo per la figlia».

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Gianni Poglio