Luciano Pavarotti, cinque anni senza. Quanto ci manca!
Ansa/Foto di Louisa Gouliamaki
Musica

Luciano Pavarotti, cinque anni senza. Quanto ci manca!

È stato il Tenore più tenore di tutti, anche nella vita. Star di livello planetario, sapeva far sentire a proprio agio chiunque avesse la fortuna di incontrarlo

Ci sono uomini che di musicale hanno tutto, la vita, l'aspetto, il carattere, la storia, l'anima e la voce. Così era Luciano Pavarotti, morto il 6 settembre di cinque anni fa.
Non solo il Tenore più tenore di tutti, ma quello che di questa voce, nella fantasia di ogni amante dei suoni, incarnava meglio al mondo (e più in profondità) la bellezza del ruolo. Pavarotti era Il Tenore, come a inizio Novecento lo era stato Enrico Caruso. A cominciare, appunto, dalla vita.

Io non l'ho mai incontrato. Ma avevamo un amico insieme, Lucio Dalla, che mi raccontò in dettagli divertentissimi quanto grande fosse la forza della sua arte stellare e (parimenti) della sua capacità di far sentire a proprio agio chiunque avesse la fortuna di incontrarlo. Qualità nient'affatto scontata, soprattutto nelle star del suo livello planetario. Parliamoci chiaro, non c'è compagnia cantando che tenga, soprattutto i divi modernissimi.

L'anima, l'essere e la voce di Pavarotti erano quelli della terra di Verdi, cioè d'Italia, e parlavano quasi dall'Altrove dove i geni della nostra storia patria musicale si divertivano a sentirli. E non solo quando cantava il più bel Requiem verdiano, diretto da un incredibile Herbert von Karajan; o quando lui e Riccardo Muti al pianoforte tennero, a beneficio della comunità di Sadurano, un concerto divino per altezza d'arte e apertura del cuore alla sofferenza altrui; ma anche quando, a un certo punto d'una carriera gigantesca, si mise in testa di riempire gli stadi di gente che così avrebbe saputo, finalmente, che non passa alcuna differenza di fascino e perfino d'emozione fra un'aria d'opera e una canzone sapientemente scritta.

I Tre Tenori sono stati l'idea di un genio, e non mi riferisco al solo markenting, parlo proprio d'arte, d'arte musicale, di cultura, della nostra cultura migliore regalata al pubblico del mondo. Checché si dica, soprattutto dalle parti della critica più cieca (quella che è causa della disaffezione generalizzata alla musica cosiddetta classica), Luciano Pavarotti ha riempito di milioni di persone festanti un mondo di morti viventi. Gente così, ghe n'è minga più. E consolazione dei dischi a parte, ci manca da morire. Anche perché, senza di loro, oggi restano in pochissimi (forse il solo Muti) a contrastare i colpi orrendi che tutta la musica e l'opera italiana subiscono per l'essere in mano ai Barenboim e ai Lissner vari e avariatissimi. L'anno verdiano e wagneriano 2013, al Teatro alla Scala di Milano, si aprirà con un'opera di Wagner. Ecco, ho detto tutto.

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Nazzareno Carusi