Laura Pausini e Biagio Antonacci: "Noi due siamo naturalmente in sync" - Intervista
Cosimo Buccolieri
Musica

Laura Pausini e Biagio Antonacci: "Noi due siamo naturalmente in sync" - Intervista

Parte il 26 giugno dallo stadio San Nicola di Bari il tour dell'estate. Ecco che cosa ci hanno raccontato i due protagonisti

Complicità totale: è questa l’aria che si respira nel backstage del tour di Laura Pausini e Biagio Antonacci, la prima volta di un uomo e una donna insieme negli stadi. Al debutto sul prato del San Nicola di Bari, il 26 giugno, mancano due settimane, il tempo delle ultime prove e degli ultimi ritocchi alle coreografie. “E del ripasso testi…” sottolinea Laura. “Ogni volta che sbaglia le parole delle sue canzoni lo rimprovero, ma lui continua a dimenticarsele” sottolinea, ridendo di gusto, la prima e unica vocalist italiana ad aver conquistato un Grammy Award. Nel 2006.

“Ovvio che senza volersi bene e senza una fiducia reciproca incrollabile un’operazione del genere non si può nemmeno ipotizzare” sottolinea Biagio. “Non faremo cd o dvd di questo tour. Vogliamo che chi viene a vederci abbia la sensazione di assistere a qualcosa di unico che non avverrà mai più” chiosa Laura. 

Ventisei anni di amicizia e di collaborazioni (l’ultima è la recente hit In questa nostra casa nuova) Iniziate con un telegramma. Era il 1993…

B.A: Partecipavo al festival nella categoria Big e quando l’ho vista sul palco dell’Ariston, tra gli esordienti, e mi sono ricordato di lei. Era la fanciulla che avevo notato esibirsi con il padre pianista al ristorante Napoleone di Bologna dove mi capitava di cenare con Lucio Dalla. Eseguì benissimo La solitudine, ma era evidente quanto fosse in un mondo tutto suo, quasi stupita, inconsapevole di quello che le stava succedendo. Così, le mandai un telegramma: “Sei la migliore. Trionferai”.

L.P: Non sai quanto mi sono gasata con le amiche per quel telegramma, a quei tempi avevo il tuo poster in camera. In effetti, quella volta a Sanremo ero persa nei miei pensieri di diciottenne per Marco (il ragazzo che l’aveva lasciata, citato nel testo de La solitudine; ndr). Continuavo a rimuginare: chissà, magari mi ha visto in televisione e adesso desidera tornare da me… Col senno di poi, considerato che con quel pezzo è decollata la mia carriera, posso dire che lo ringrazio per le corna… 

A chi è venuta l’idea di fare il grande passo negli stadi?

B.A: “Le ho mandato in messaggio quando era ancora in preda al jet lag dopo il suo ultimo tour nel mondo: secondo me un tour congiunto è l’unico modo che abbiamo per passare veramente del tempo insieme. Uniamo i nostri pubblici e divertiamoci, le ho scritto. Oltre alla compatibilità umana, c’è poi quella artistica: io e Laura possiamo salire sullo stesso palco in qualunque posto e in qualunque situazione. Siamo naturalmente in sync, cantiamo nello stesso modo, con le stesse pause, con la stessa divisione metrica. Non sono dettagli…

L.P. “Due giorni dopo quel messaggio l’ho chiamato e gli ho chiesto di venire a casa mia con un abito nero e una camicia bianca per la foto promozionale del tour da mettere sui manifesti. L’ho sentito titubante, e aveva ragione, perché mi ero dimenticata di dirgli che avevo accettato la sua proposta. Ero passata direttamente alla fase operativa con tanto di scelta delle canzoni da fare insieme. Per questi concerti non siamo passati attraverso manager e agenzie, non ci sono state trattative, abbiamo fatto tutto noi. Esiste una chat ‘segreta’ su What’s app. Si chiama I Pausinacci e gli unici ammessi, oltre a me e lui, sono suo fratello e mia sorella. Per non sforzare la voce parlo pochissimo al telefono, quindi apro chat a getto continuo. Anche per organizzare una cena al ristorante. 

Il vostro repertorio è composto quasi esclusivamente da canzoni che parlano di amore e sentimenti, ma il panorama musicale contemporaneo, è fatto di brani rap e trap che hanno sdoganato il linguaggio della strada, duro, diretto, e volgare. Vi sentite retrò?

L.P.: No, noi continuiamo a fare noi stessi, siamo legati alla poesia che l’amore porta con sé. Le parole sono importanti: se vivi quello che canti arrivi a tutti. Vale anche per i rapper e i trapper. Quel che non funziona è la finzione per seguire un trend. In quel caso si avverte subito la mancanza di personalità. 

B.A.: Noi abbiamo attraversato mode e tendenze con il nostro modo di raccontare l’amore. un amore complicato e conflittuale fatto anche di rabbia e tormento: ecco perché siamo rimasti nel tempo. Le canzonette d’amore, a base di ‘ti amo e vorrei spostarti’ si esauriscono nell’arco di un estate, la poesia autorale dei sentimenti ti lega al pubblico, ti fa andare lontano. 

C’è una canzone delle vostre che vi rifiutereste di cantare oggi?

L.P.:Cani e gatti. Non se la ricorda, vero? Guardi, è talmente brutta che non gliela accenno nemmeno durante l’’intervista. Una canzone con un titolo così dice già tutto…

B.A.: Sì, Se ti vedesse mamma: l’unica funzione di quel brano è stata che mi ha permesso di stare 15 giorni a Londra a spese della vecchia Polygram. Mi presentai al Festivalbar credendo di essere Bruce Springsteen con in più la convinzione che avrei vinto perché ero il più bello… Peccato che quell’anno tra i giovani, ci fosse anche Ligabue con Balliamo sul mondo. Lui aveva un pezzo fortissimo e io… Se ti vedesse mamma. Ma dove volevo andare?

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Gianni Poglio