Giorgio Gaber in una foto storica di Luigi Ciminaghi
Fondazione Giorgio Gaber/Foto di Luigi Ciminaghi
Musica

Perchè ci manca la Milano di Gaber e Jannacci

Ieri sera l'incontro con i comici Ale & Franz per discutere del loro rapporto con la città della Madunina. E con le opere del Signor G e del grande Enzo

Molte volte ci troviamo inglobati nella frenesia del quotidiano. Bloccati, immobili, e totalmente impassibili di fronte a qualunque cosa possa accadere. È proprio per questo motivo che incontri come quello di ieri sera, organizzato da MM e dalla Fondazione Gaber, sono come una doccia fredda. Poco più di un'ora per ripercorrere - attraverso i temi di appartenenza, cultura e sviluppo continuo (e smisurato) - il rapporto d'amore che legava Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci alla città di Milano, alla "loro" Milano. 

Basterebbe ripercorrere alcune delle loro più famose canzoni per rendersi conto del contributo che - anno dopo anno - hanno portato a ognuno di noi. A discutere con il Presidente della Fondazione Gaber, Paolo Dal Bon, anche due ospiti d'eccezione: i comici Ale & Franz. Il titolo dell'incontro è chiarissimo: "Milano noi. Da Gaber a Jannacci. Dall'Ortica al Giambellino. Milano, i suoi artisti, i suoi quartieri".


Per i due comici non è la prima volta che si confrontano con l'opera dei due cantautori. Come ha spiegato Franz: "Abbiamo girato quest'estate con uno spettacolo su Gaber e Jannacci. È stato bellissimo vedere cantare una canzone di Gaber e Jannacci a Genova, a Roma, a Firenze, ecc. Io e Ale abbiamo recuperato le prime cose che abbiamo scritto e ci siamo resi conto che siamo stati influenzati tantissimo dalle loro opere". 

E sulla Milano raccontata da Gaber e Jannacci? Perchè - ascoltando le loro canzoni - sentiamo un lieve senso di malinconia? Perchè ci troviamo in parte gelosi di chi ha potuto godere al massimo delle nostre grandi città negli anni Settanta? Franz ci prova: "Loro raccontavano una Milano in cui il ruolo delle case popolari era centrale, erano un punto di aggregazione importante, erano un punto d'ispirazione per loro". E continua: "Era una realtà popolare, nell'accezione più ampia del termine. Era l'incontro tra gente differente".


A pensarlo oggi - età del multiculturalismo sfrenato - fa sorridere: abbiamo un contatto diretto con chiunque, con persone di culture, religioni, realtà totalmente diverse dalla nostra. Ma non accade più un vero incontro. Perchè? Come ha ricordato Paolo Dal Bon, Gaber lo diceva chiaramente:

"Quando non c’è nessuna appartenenza
la mia normale la mia sola verità
è una gran dose di egoismo
magari un po' attenuata
da un vago amore per l’umanità". 

(Canzone della non appartenenza, 1995-1996)

Allora è forse proprio per questo che ci manca la Milano di Gaber e Jannacci, entrambi testimoni fedeli e sinceri della propria epoca: c'è molta meno appartenenza, intesa come valore estremo e universale, ma che si rende concreta anche nel semplice star insieme. Solo se ci impegneremo nel capire chi siamo, di cosa viviamo, il motivo del nostro vivere, la direzione del nostro essere, allora, sì, potremo tornare alla Milano di qualche decennio fa.E goderci mille volte di più tutto. Da una camminata ai giardini di Porta Venezia ad una birra con i nostri amici nella nuova Darsena. 

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Giovanni Ferrari