Fabi, Silvestri, Gazzé: "In tre è molto meglio"
Ufficio stampa Medimex
Musica

Fabi, Silvestri, Gazzé: "In tre è molto meglio"

I cantautori romani si sono raccontati al Medimex di Bari, tra ricordi, progetti futuri e un tour nei palasport

“La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, cantava nel 1969 il compianto Sergio Endrigo. Non c’è dubbio che sia stato un incontro felice quello tra Niccolò Fabi, Max Gazzè e Daniele Silvestri, ospiti dell’ultima giornata del Medimex, il salone dell'innovazione musicale ospitato alla Fiera del Levante di Bari.

Il supergruppo romano ha dato vita a uno dei migliori album del 2014, Il padrone della festa, un esperimento riuscito, denso,leggero e profondo al tempo stesso, una preziosa testimonianza sentimentale e politica dell’Italia di oggi.

Dopo un tour europeo all’insegna del sold out, il trio sta per affrontare le prova del fuoco dei palasport italiani. I giornalisti Ernesto Assante e Francesco Costantini hanno intervistato i tre cantautori, davanti a un folto pubblico di fan e di curiosi. Abbiamo raccolto le dichiarazioni più interessanti dei cantautori romani.


Daniele Silvestri: “Non abbiamo ancora litigato, il fatto che il nostro percorso sia stato sincero e articolato ci ha permesso di vivere una seconda giovinezza, girando l’Europa con il furgone. Più che Crosby,Stills & Nash, sembravamo il trio Lopez, Solenghi e Marchesini”.
“Per questo album ci siamo spogliati di ogni ruolo e di ogni sicurezza,è diventata una sorta di autoanalisi. Non è stato solo frutto delle scelte fatte a tavolino, ma anche di un po’ di culo. C’è un equilibrio tra di noi che si spiega più con le anime e con le emozioni che con le decisioni, un’alchimia che si è creata quasi magicamente. Quando stavamo componendo le canzoni, ci sentiamo individualmente piccoli e collettivamente enormi, in questo senso è un album politico”.
Ci siamo conosciuti da giovani, senza troppe sovrastrutture. Dopo ci siamo incontrati spesso,ma niente rispondeva alla domanda: che cosa è rimasto di allora? Il viaggio in Sudan era il modo più vero e umano per spogliarci dei nostri ruoli. La nostra essenza, vent’anni dopo, è rimasta la stessa di allora, siamo invecchiati bene dal punto di vista dei sentimenti”.
”Quando avevamo gli strumenti in mano c’era libertà assoluta, abbiamo lasciato che il nocciolo si esprimesse e che lasciasse maturare i germogli. E’ stato bello osservare che a un certo punto,come per magia, ognuno di noi si accendeva e prendeva luce”
“Il tour nei palasport è un altro viaggio, vogliamo sfruttare tutte le potenzialità dei grandi palchi e fare in modo che sia una sorpresa continua. E’ un concerto ‘paghi uno e prendi tre’, quindi è conveniente per gli ascoltatori”
“Dopo questa esperienza non mi spaventa tornare a palchi dalle dimensioni più piccole. L’album è un patrimonio che non si ferma lì, le canzoni continua a vivere per conto loro”.


Max Gazzè: “Partire e dedicare un anno a questo percorso, oltre a fare una scelta artistica profonda, è stato già un successo. Sono sicuro che l’esperienza del trio influirà i nostri progetti solisti, ormai ci siamo contagiati l’uno con l’altro. Abbiamo ripreso a suonare nei locali con lo stesso spirito ed entusiasmo che avevamo ai nostri esordi. A volte i concerti andavano ‘in vacca’, ci siamo divertiti moltissimo, un’esperienza che mi porterò dietro tutta la vita”
Vent’anni fa un album a tre sarebbe stato un gioco e un divertimento, oggi c’è una consapevolezza completamente diversa: o lo facevamo adesso o non l’avremmo fatto mai più. Questo era il momento giusto. In un disco a tre non tutte le strade sono percorribili,ci siamo chiesti:cosa vogliamo esprimere?cosa vogliamo dire? Per ogni canzone c’è stata una modalità e un approccio compositivo diverso. Il padrone della festa è un disco di cuore, un’anima fatta di tre persone”.
“In genere i gruppi si sciolgono e ognuno, poi, va per la sua strada, invece noi abbiamo fatto esattamente il contrario. In Sudan avevo pensato come nome Plasmodium, ma poi abbiamo preferito lasciare i nostri tre cognomi, anche perché uno più uno più uno fa un Uno Supremo”.
“In Francia la salute sociale della musica è migliore, per non parlare dell’Inghilterra.Chi lavora nella musica deve essere rappresentato e tutelato, in Italia nessuno la difende in Parlamento e ci si ricorda dei cantanti solo per portare più gente nei comizi”
“Forse tra due anni potremmo fare di nuovo qualcosa insieme, ma in questo momento nessuno di noi pensa a questa eventualità. Magari potrebbero nascere altri tipi di collaborazione, non necessariamente un disco o un tour”.


Niccolò Fabi: “Gli incontri occasionali sul palco sono più facili, la vera sfida è stata architettare qualcosa che mettesse in dubbio le nostre certezze, il disagio di scrivere canzoni in una maniera completamente diversa. Il cantautore è un po’solipsista per sua natura, mentre qui ognuno di noi si è specchiato negli altri. Sono curioso di vedere, una volta terminata questa esperienza, quanto saremo cambiati individualmente”.
“La dimensione sociale e collettiva della fine dell’America alla fine degli anni Sessanta ha portato Crosby,Stills & Nash ad unirsi. In fondo anche il Locale di Roma era una piccola comune,ci ha educato all’ascolto. Spesso pensiamo alla libertà dal punto vista individuale, invece suonando con Max e Daniele mi sono sentito molto più libero, separandomi dalla mie aspettative e dalla mie sovrastrutture. Liberarci da noi stessi è il modo migliore per ascoltare gli altri”
Abbiamo avuto percorsi diversi, diversi gradi di maturazione e di messa al fuoco del proprio stile musicale. Io ci ho messo di più rispetto a loro due, ma forse, proprio per questo, sono arrivato più fresco a questa nuova esperienza. Posso dire, senza peccare di presunzione, che tutti e tre abbiamo la fedina musicale intonsa. La loro barca era sempre nella direzione giusta,così ci siamo trovati in un luogo, in mezzo al mare,tutto sommato vicino”.
“Noi giochiamo in trasferta nei palasport. Il palazzetto dà epicità ad alcune canzoni, una grandiosità che sarà un’arma in più, soprattutto in canzoni intimiste, perché una storia raccontata a tre voci è più intrigante. Noi siamo più produttori che cantanti, quello che ci interessa di più è l’architettura del progetto rispetto alla singola esecuzione. Siamo espressione di una musica che non è maggioritaria nel paese, il nostro è un linguaggio mai sopra le righe, ma in mezzo alle righe”.
“E’ fondamentale che ognuno di noi torni alla sua dimensione, per vedere quanto è cambiato. Personalmente sono il più integralista, raramente torno in un posto in cui sono stato bene. Non vorrei che la seconda volta non avesse più lo stesso sapore”.



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Gabriele Antonucci