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Dolcenera: "Sono una gif vivente!"

L'eccentrica cantante è coach di The Voice 4. È lei il personaggio di questa edizione - Intervista

Raggiungo Dolcenera al telefono a poche ore dal secondo live di The Voice (in onda mercoledì sera alle 21.15 su Rai2). Nemmeno il tempo di salutarci che già mi corregge (“Non siamo giudici, siamo coach: è una cosa ben diversa”). È vulcanica, si capisce dal tono di voce: The Voice le sta facendo molto bene. La sta aiutando a superare il suo “blocco” (di cui è già stato scritto tanto) verso la tv, la sta aiutando a farsi conoscere così com’è. Con la sua pazzia, ma soprattutto con la sua generosità infinita che la spinge a darsi completamente ai talenti in gara, anche solo per un commento, un appunto e - perché no? - anche un complimento, quando necessario.


Dolcenera, ogni volta che un artista decide di fare il coach in un programma tv, ci si chiede se si possa trattare di un’esperienza che lo aiuterà o meno, a livello di credibilità ma non solo. Mancano poche puntate alla Finale: facciamo un bilancio…

Sta andando bene, mi sono sentita a mio agio. Sono sempre stata me stessa. Tra l’altro ieri ho incontrato per caso Mara Maionchi a Radio105 e ci siamo messe a chiacchierare: ci riconosciamo come carattere. Siamo simili.

Questo essere te stessa però ha suscitato anche qualche critica…

Sì, è vero. Ho scelto di essere me stessa con tutte le parti che mi contraddistinguono, mi si legge in faccia tutto quello che penso. Sono una gif vivente! (una gif è un formato di immagini molto usato nel Web, viene usato come animazione, ndr). Non avrei mai potuto controllare questa cosa! Ti immagini quattro mesi a stare nel chi-va-là? Io la prendo come una bella esperienza. Va benissimo così.

Durante la conferenza stampa di presentazione dei live, il direttore di Rai2 ha scherzato dicendo che ci sarebbe stato il problema di contenerti un po’. Ti è stato chiesto di essere più sintetica?

È stato molto facile: tante volte mi hanno spento il microfono. La cosa bella delle puntate registrate è che riuscivano a gestire il volume del microfono. Tanto che, rivedendo le puntate, mi sono molto divertita: facevo la parte del coro greco, che era quello che commentava ciò che accadeva in scena. Nei live, invece, mi hanno tolto praticamente la metà dei commenti che facevo. Sono stata la voce della verità. Sono stata quella che non aveva paura di dire la verità.


Una paura però ce l’avevi quando - obbligata dal format del programma - hai dovuto eliminare alcuni talenti, dispiacendoti molto di questa cosa. Come mai?

Quello che più mi ha toccato è dovuto al senso di protezione che avevo nei confronti dei più piccoli e di quelli che si vedeva che avevano come unico modo di comunicare la musica. In quel caso ho patito un po'.

Hai ancora questo dispiacere?

Beh, diciamo che ora siamo in fondo. Sono certa che tutti e quattro i miei talenti che ho portato ai live (ora sono rimasti tre, ndr) sarebbero potuti arrivare alla Finale, se non fosse per questa regola che deve arrivarne per forza uno per coach. Ora, in un certo senso, non posso più farci niente. Mi sento di non aver più nessun potere da questo punto di vista. Le regole del programma me lo impediscono. Non sto più pensando a chi salvare o meno; sto pensando al dopo. Mi sto immaginando cosa potrebbe aspettarli fuori da The Voice.

A proposito di “dopo-The Voice”, non è un po’ assurdo che voi coach siate “costretti” a fare un appello a Carlo Conti per chiedere di far partecipare il futuro vincitore del talent al prossimo Sanremo?

No. Non lo è. Perché gli altri hanno questa opportunità e noi no? Noi diciamo solo: date un’opportunità a chi vincerà. Se la giocherà male? Va bene, ma almeno ha avuto una possibilità.

Chiarissimo. Dei tre talenti rimasti nel tuo team cosa puoi dirci?

Joe Croci è il purista del suono e della comunicazione. Non gli va di fare sceneggiate, è come se venisse davvero dagli anni Settanta. È duro e puro. Lui canta e basta: non fa scene, non fa tv. È fatto così. Poi c’è Alice Paba che sembra fatta per stare sul palco, caratteristica che non hanno tutti. Anzi. Alcuni cantanti (anche navigati) li vedi impostati nel cantato, ma si vede benissimo che non riescono ad astrarsi dal mondo reale mentre cantano. Lei invece è da palco. Poi, ho Giorgia Alò che, in questo programma che si chiama The Voice, è di fatto “The Voice”. Inutile dirlo: ha un timbro che non ha nessun altro. Ha un timbro che risulta strano, che divide. Ma in ogni caso è affascinante, non lo si può negare.

I talenti che arriveranno alla Finale potranno presentare un loro inedito. Stai già pensando a quelli del tuo team? Hai scritto qualcosa per loro?

Allora, sto cercando di prepararmi un po’ su tutti. Sto cercando di aiutare Joe Croci - che già scrive - nella parte di scrittura, per aggiustare qualche suo brano. Lui ha un mondo tutto suo particolare, folk blues, che va rispettato. Anche Alice ha qualche cosa di suo, e bisogna cercare di lavorarci un po’ insieme perché chiaramente sono talenti molto giovani e hanno bisogno di una mano. Per Giorgia ho scritto un pezzo. Ma vediamo. Odio ridurmi all’ultimo minuto, ma il programma prevede questa cosa.


Nella scorsa puntata hai avuto uno scambio di opinioni abbastanza forte con Giuliana Ferraz (concorrente ormai ex team-killa) su Chiesa, talenti e doni di Dio. In quel caso non sono riusciti ad abbassare in tempo il volume del tuo microfono…

Trovo di cattivo gusto arrivare in un posto e dire: “Dio mi ha dato un dono e sono venuta qui a portarlo a voi”. La fede può rimanere anche per te. Dio dà talenti a tutti, ma chi te lo dice che il tuo sia più comunicativo di altri? Mi è sembrata completamente fuori luogo. Se hai un’interiorità, mettila nelle tue canzoni. Chi te l’ha detto che il vero talento della tua vita sia questo? Ognuno di noi ha quel qualcosa che ti permette una maggior espressione della tua anima. Ma ricordiamoci: per la religione cristiana anche la sofferenza è considerata un dono.

Torniamo alla gara. Non ti sembra che tante volte a The Voice ci sia poca critica nei confronti delle esibizioni? In altri talent c’è una tendenza quasi opposta…

Quando un coach non si gira alle Blind, è esso stesso un giudizio. Diciamo che all’inizio non si conosce bene il talento che si ha davanti e si tenta di non ferire le loro anime. Anche se comunque alcune volte è successo. Ti ricordi quella volta che è venuto un ragazzo a cantare Tiziano Ferro? Io gli avevo subito detto: “Come puoi pensare di essere al livello di Tiziano?”. Subito dopo la mia provocazione, ha dimostrato di essere dolcissimo, dicendomi che ci si sentiva dentro, a quel brano. Lì mi è dispiaciuto davvero. Poi, vabbè, quando un talento ti prende, è giusto fare un po’ di manfrine per accaparrartelo: fa parte del gioco.

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Ufficio Stampa
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Giovanni Ferrari