Breakdance mania: istruzioni per l'uso
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Breakdance mania: istruzioni per l'uso

A Napoli si sfidano gli assi della danza acrobatica mondiale

Ormai ci siamo. Sabato sera, 14 settembre al Teatro Bellini di Napoli, si scatenano gli assi della breakdance. In una sala esaurita da mesi (ma lo show sarà trasmesso dal vivo a partire dalle 21,45 sul sito dedicato ) si sfideranno i protagonisti delle Red Bull BC One Western European Finals, una delle ultime selezioni in vista della finalissima prevista in Corea del Sud il 30 novembre. Per un giorno, insomma, l'Italia diventa la capitale mondiale della danza acrobatica, tanto più che in questa parata di stelle non mancano gli specialisti italiani: in gara ci sono Froz e Alex, mentre il Master of Ceremonies (guai a chiamarlo presentatore...) è il rapper torinese ENSI. Anche in giuria la breakdance italiana ha un esponente di assoluto rispetto: Cico, al secolo Mauro Peruzzi. Ventinove anni, veneto di origine ma cittadino del mondo per scelta e vocazione, ha un curriculum di record e vittorie che lo rende una sorta di Nadal della breakdance: un autentico fuoriclasse, capace di evoluzioni che lasciano a bocca aperta.

 

Nessuno è più adatto di lui a presentare non solo l'evento napoletano ma anche un  fenomeno - quello della breakdance - che sembrava morto già parecchi anni fa e invece ha progressivamente (e prepotentemente) riconquistato l'attenzione dei giovani di tutto il mondo.

Mauro, come spiega la rinascita della breakdance?

«Per chi la ama e le dedica la vita questa è una passione che non è mai scomparsa. Sono le mode e l'attenzione dei media che oscillano».

Come definirebbe questa disciplina?

«Prima di tutto è un grandissimo spettacolo, caratterizzato da movimenti estremi ed emozioni ineguagliabili, sia per chi balla sia per chi guarda. E poi, ci tengo a dirlo, è qualcosa di molto serio: per arrivare a certi livelli servono come minimo dieci anni di sacrifici e duro lavoro. Io, per dire, mi alleno da 18, e quindi mi fanno molto incazzare quelli che guardano al mio mondo con sufficienza».

Che cosa serve per emergere?

«Se parliamo di costi, non serve niente: una radio e un pavimento su cui ballare. Quando vedo tanti ragazzi italiani che non fanno niente dalla mattina alla sera, o peggio ancora finiscono su una brutta strada, penso come sarebbe migliore la loro vita se si avvicinassero al nostro mondo. Io mi considero fortunatissimo, ho una vita piena di emozioni e non so cosa sia la noia. Ho girato il mondo, e adesso ho un nuovo sogno: far innamorare della breakdance tutti i ragazzi italiani. Anche per questo ho deciso di trasferirmi a Roma, dopo tanti anni passati un po' qua un po' là».

Lei si considera più un atleta o un ballerino?

«Un po' tutt'e due. Soprattutto mi reputo un professionista, che ha costruito la sua credibilità con l'impegno e la passione. È questo che fa la differenza: io ho sempre dato il massimo, anche quando non avevo nessuna garanzie di ricavarne denaro, fama, successo. Lo facevo perché mi rendeva felice: ecco perché, anche adesso che ottengo qualche soddisfazione, non diminuisco neppure di un centesimo il mio impegno».

A prima vista, sorattutto se non si è degli esperti, le esibizioni di breakdance sembrano abbastanza simili tra loro. Che cosa fa la differenza?

«Il talento, la fantasia, la preparzione atletica. Esistono come in tutte le discipline dei movimenti base, ma poi a renderli unici è ogni campione, con la sua struttura fisica, la sua grinta, l'armonia dei suoi movimenti. Pensi a un brano rock: le parole e la musica sono quelle, ma poi ogni cover è unica grazie al suo interprete».

Perché oggi un giovane dovrebbe darsi alla breakdance?

«Ogni scelta è giusta se viene dal cuore: non è certo una cosa che si può fare solo per fare il figo con gli amici e le ragazze. Dureresti cinque minuti... E poi, scusi, l'Italia cosa offre a un giovane? Non c'è lavoro, né la speranza di trovarlo. Io ballando ho acquistato fiducia in me stesso, una consapevolezza che di sicuro mi servirà anche se dovessi decidere un giorno di fare altro nella vita. Non credo che succederà tanto presto, però: amo troppo quello che faccio».

Per concludere, che cosa consiglia a quelli che volessero seguire il suo esempio?

«Di avere tre cose: idee chiare, passione, obbiettivi molto chiari. Chi comincia così, dopo pochi mesi di solito scopre di avere dentro qualcosa che neppure immaginava. Mi creda, è una sensazione meravigliosa».

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Alberto Rivaroli