Bastille, dopo "Pompeii" un tour con i Muse - Intervista
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Bastille, dopo "Pompeii" un tour con i Muse - Intervista

Incontro con il gruppo inglese che ha scalato le classifiche inglesi e italiane. Al leader Dan Smith, però, il successo non ha dato alla testa: anche se tra poco la "sua" band suonerà con Matt Bellamy & Co

Solo due mesi fa, parlando con un giornalista inglese, Dan Smith confessava di non credere a quello che gli stava capitando. Di più: il venticinquenne leader dei Bastille, band rivelazione del 2013 (non solo in Inghilterra), sosteneva di non sentirsi una star, e che anzi non si sarebbe affatto stupito di trascorrere la prossima estate lavorando da McDonald's.

Scaramanzia? Eccesso di modestia? Scegliete voi. Quel che è certo è che la celebre catena di fast food dovrà rivolgersi altrove per eventuali assunzioni: Dan e i suoi tre compagni di viaggio (Chris Wood, Will Farquarson e Kyle Simmons), infatti, faranno da supporter ai Muse nelle prime quattro date del tour che parte il 22 maggio. Suoneranno con loro a Coventry (22/5), Londra (25 e 26 maggio) e infine a Manchester (1/6). Poche chances al momento di vederli sullo stesso palco di Matt Bellamy e soci anche nei  concerti italiani di Torino (29 giugno) e Roma (6 luglio). Ma allora quanto bisogna aspettare per vedere i Bastille dal vivo anche in Italia? Di risposte ufficiali ancora non ce ne sono, ma non cis tupiremmo se già prima dell'autunno ci facessero una sorpresina... Nel frattempo li abbiamo incontrati a Milano, dove hanno scatenato un velocissimo blitz promozionale di Bad Blood, il cd che ha raggiunto il top delle classifiche inglesi, scatenando reazioni entusiastiche  tra i critici, e che anche da noi sta sfruttando l'onda lunga del supersingolo Pompeii, da settimane uno dei brani più programmati dalle radio italiane.

Anche nelle interviste, come sul palco, a parlare è Dan Smith.

Hai sempre detto che cerchi di ignorare il successo, per pensare solo alla musica. L'impresa diventa però ogni giorno più ardua...

«(sorride) In effetti stamo vivendo una situazione piacevolmente surreale. Nessuno di noi si sarebbe mai sognato di arrivare a questo punto, anche perché il vero sogno realizzato è quello di fare musica: il resto è venuto da sé, e cerchiamo di affrontarlo con un po' di distacco, altrimenti sono guai».

La critica via ha "benedetto”: che effetto fa ascoltare le opinioni più fantasiose su ogni vostro brano?

«Lo trovo stimolante: mi incuriosisce molto scoprire che cosa gli altri vedono nel nostro lavoro, anche se ovviamente non sempre sono d'accordo. In realtà per noi la musica è divertimento, senza calcoli. Quello che personalmente amo di più è sperimentare, mescolare strumenti e suoni, raccontare storie che mi appassionano».

E che spesso raccontano il lato oscuro dell'animo umano.

«Spesso è anche quello più affascinante, ma anche in questo caso non mi piace generalizzare: a una storia chiedo di interessarmi, non di rispondere a criteri che ho deciso a priori».

Resta il fatto che sei notoriamente un fan di Dario Argento e David Lynch (indossa una maglietta con la scritta“Ho ucciso Laura Palmer”, con riferimento alle serie tv di culto Twin Peaks, ndr).

«Anche in questo caso devo ringraziare amici più grandi di em, che mi hanno fatto conoscere Dario Argento e Profondo Rosso, un capolavoro. Di Lynch invece amo veramente tutto».

Musicalmente, invece, quali sono le tue icone?

«Da ragazzino ascoltavo di tutto, soprattutto dischi che trovavo in casa, appartenuti ai miei genitori e a mia sorella. Dai Beatles a Elton John, da Simon& Garfunkel a Cosby, Stills, Nash & Young, fino ai Fugees. L'importante è l'armonia: chi riesce a crearla componendo mi lascia sempre a bocca aperta».

Dove nasce il nome Bastille?

«Dal fatto che sono nato il 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia».

E Pompeii, perché si intitola così?

«Mi ha sempre colpito moltissimo la storia della città travolta dall'eruzione del Vesuvio. Mi trasmette un senso di ansia, che ho cercato di trasferire ai giorni nostri».

Quando scrivi ti piace seguire un filo conduttore? Per te un album è sempre un concept album, o vai a ruota libera?

«Preferisco che ogni canzone sia una storia a sé, mi sento più libero così».

Ora che siete venuti anche in Italia, vi siete resi conto che siete strafamosi anche qui?

«Non posso che ripetere quello che ho detto prima. Ci sembrava già tanto che volessero ascoltarci quelli del nostro quartiere!».

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Alberto Rivaroli