Alan Parsons: trionfo a Roma - La recensione
Daniele Mignardi Promopressagency
Musica

Alan Parsons: trionfo a Roma - La recensione

Il musicista inglese ha regalato grandi emozioni con tutte le hit di quarant'anni di carriera

Sgomberiamo subito il campo da due equivoci. Alan Parsons non è “solo” l’ingegnere del suono di The dark side of the moon dei Pink Floyd, merito non da poco, visto che c’è molto del suo contributo in uno degli album più importanti del Novecento.

Alan Parsons non è, inoltre, “solo” quello di Eye in the sky, super hit del 1982 che conosce praticamente chiunque abbia dai venti ai settant’anni e che ascolti anche solo superficialmente la musica leggera.

Parsons è un musicista e soprattutto un autore che ci ha regalato, nei quarant’anni di attività del suo Project, un repertorio straordinario di canzoni, a cavallo tra pop e rock sinfonico suonato con strumenti classici uniti alla più moderna elettronica.

Il lascito di un artista lo si vede dall’impatto che hanno, a distanza di anni, i suoi brani. A giudicare dall’entusiasmo con il quale i 1.800 spettatori dell’Auditorium Conciliazione di Roma, pieno come solo nelle grandi occasioni, hanno accompagnato per due ore la performance degli otto eccellenti musicisti sul palco, è evidente come Parsons si sia ritagliato uno spicchio non indifferente nel cuore degli appassionati della buona musica.

Il concerto è stata l’ultima tappa del tour italiano del Greatest Hits Tour 2015, dopo le esibizioni di Milano, Padova e Firenze.

Il filo conduttore della produzione discografica dell’Alan Parsons Project, fondato nel 1975 insieme al manager-cantante Eric Woolfson e dove si sono alternati numerosi musicisti, è sempre stato il concept album, nel quale tutte le canzoni solo collegate dalla stessa tematica.

Tales of Mystery and Imagination è sviluppato sui famosi Racconti Straordinari di E.A. Poe; I Robot prende spunto da un racconto di Isaac Asimov per parlare del mondo di domani; Pyramid usa l'antico Egitto per raccontare il mondo di ieri visto con gli occhi di oggi, Eve esplora il mondo femminile; The Turn of a Friendly Card è incentrato sul gioco d'azzardo.

La profondità dei testi va di pari passo con la ricercatezza sonora, che però non inficia in alcun modo la godibilità e il feeling delle canzoni, come hanno potuto apprezzare ieri i fortunati spettatori dell’Auditorium Conciliazione.

L’ Alan Parsons Project è salito sul palco alle 21.20 con i due chitarristi Alastair Greene e Dan Tracey, il bassista Guy Erez e il sassofonista Todd Cooper. Le canzoni sono affidate di volta in volta a ognuno dei musicisti, che si alternano a Pj Olsson, voce principale degli APP. Il batterista Danny Thompson e il tastierista Manny Focarazzo danno ritmo e colori al ricco repertorio che abbraccia trent’anni di produzione, con l’imponente e carismatica figura Alan Parsons, nel triplo ruolo di cantante, chitarrista e tastierista, a guidare l’affiatato ensemble.

La generosa scaletta si è snodata attraverso ventidue canzoni, che hanno regalato tutte le hit del gruppo: dalle trascinanti I wouldn’t want to be like you e Psychobabble alle emozionanti Old and wise, Days are numbers(dedicata a Chris Rainbow, voce originale del brano registrato per il disco Vulture Culture, morto recentemente di cancro)e Nothing left to lose.

Quest’ultima, cantata con delicatezza dallo stesso Alan Parsons, è stato l’atto conclusivo di una suite di venti minuti dedicata a The turn of a friendly card, uno dei momenti più esaltanti del live, in cui hanno trovato spazio anche The turn of a friendly card (part one e part two), Snake eyes e The ace of swords. E proprio Nothing left to lose ha fatto scattare la prima, meritata standing ovation della serata.

“Molto gentile, grazie”, dice in italiano l’artista inglese, quasi imbarazzato da tanto affetto. Il concerto è anche l’occasione per presentare il nuovo singolo Do You Live It All, anche se non è previsto a breve un nuovo album dell’APP.

Quello che colpisce maggiormente è il sound della band, tecnicamente impeccabile e al tempo stesso ricco di calore, ben supportato dalle voci dei cantanti che si alternano in solo e ai cori, una soluzione che in alcuni casi ci regala lestesse vibrazioni dei Beach Boys e dei Supertramp.

Dopo quasi due ore di grande musica arrivano le prime, inconfondibili note di Sirius, cui segue strutturalmente Eye in the sky, che fanno scattare in piedi tutti i 1.800 spettatori per un momento di grande festa collettiva.

I musicisti salutano il pubblico, accompagnati da applausi scroscianti, giusto il tempo di una breve pausa. Il bis, tutto da ballare, è affidato a (The System of) Dr. Tarr and Professor Fether e Games People Play, che chiudono nel migliore dei modi una serata memorabile.

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Gabriele Antonucci