Antonio Moresco
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Moresco, "Gli increati" e il senso dello scrivere

Incontro con lo scrittore tra semplicità e profondità, passione per la scrittura e registri narrativi che ne fanno un grande autore

Ci sono libri in cui si entra perché si decide di farlo. Non basta la prima pagina a conquistarci, né la seconda: eppure andiamo avanti, perché capiamo che lì, tra quelle frasi, c'è qualcosa che ci attrae. Accade anche ascoltando un certo tipo di musica, o guardando un quadro, o quando torniamo su letture già fatte e vi scopriamo un messaggio che ora appare completamente nuovo. Insistere e alla fine trovare in una storia una fiammella nel buio che indica una strada è il regalo più grande che un libro può fare al suo lettore. Le pagine scritte da Antonio Moresco sono così: all'inizio difficili e quasi ripetitive. Pronte, però, ad aprire un varco a chi voglia insistere. Sono pagine autentiche, che non vanno alla ricerca di nessun consenso. Sono come chi le ha scritte.

Qualche giorno fa ho avuto l'occasione di dialogare con Antonio Moresco grazie a un incontro organizzato dalla Mondadori con un gruppo di lettori per parlare del suo ultimo libro, Gli increati
Si tratta del volume conclusivo di un'opera monumentale - a formarla ci sono ancheGli esordi (1. ed. 1998) e I canti del caos (1 ed. 2001) - che riassume la "visione del tutto" di Moresco, mettendo "in tremolare" la nostra concezione spazio temporale. E' la conclusione di un'avventura letteraria durata 33 anni e quasi tremila pagine: l'autore, ci dice, non avrebbe mai immaginato che la trilogia lo avrebbe accompagnato per così tanto tempo e solo a percorso compiuto si è reso conto della strada fatta. Quando ha iniziato a scrivere, sentiva solo la necessità di doverlo fare: i personaggi che ritornano in tutti i libri lo attiravano "come un magnete" e il bisogno di raccontare lo incalzava "con la stessa urgenza che ha di fuggire chi è inseguito da una muta di cani". Oggi che l'opera è conclusa sente di aver fatto "un giro di boa", ma non sa dove questo lo porterà.

Gli increati è formato da più di 900 pagine dense, non da raccontare ma da leggere "per sentire qualcosa se - come dice l'autore - ci si aspetta ancora qualcosa dalla letteratura". Non è un libro facile, a partire dalla lingua che Moresco usa, fatta volutamente di termini ripetuti e che mescola tra loro generi e registri narrativi diversi; non è facile neanche l'argomento trattato, che racconta la morte, la vita e quello che c'è oltre, prima della vita e dopo la morte così come le conosciamo. E' un romanzo che segue la sua strada, senza cercare scorciatoie che possano catturare il lettore.

Parlarne con Moresco è stata un'emozione autentica, semplice e rara, come lo è questo autore. Con una voce calma e rassicurante, ha sviscerato argomenti enormi con una semplicità disarmante. Spaziando dal senso della scrittura a quello dell'esistenza, senza trascurare le sue passeggiate milanesi e il contenuto delle tasche dei suoi pantaloni, ha risposto a tante domande e tante ne ha prevenute, mettendoci al corrente anche di ciò che avremmo voluto chiedergli in un secondo momento.

Autodidatta, Moresco ha iniziato a scrivere a vent'anni, ma poi ha rinnegato la sua scrittura. E' tornato ai libri dopo dieci anni conClandestinità, che narra una battaglia che è anche il combattimento dell'autore contro se stesso. La sua scrittura nasce da un bisogno esistenziale estremo," fuor di retorica, una questione di vita o di morte".

"Quando scrivo sono in una zona fluida che moltiplica le mie forze. Credo che il mondo sia pieno si persone che hanno bisogno di combattere e gettare via le parti più profonde della propria anima. Io sono ancora là, sottoterra, scrivo per ricongiungermi con quella parte di me che è ancora là ad aspettarmi".

Non sa cosa ne sarà del suo futuro di scrittore, non sa neanche se scriverà ancora:
"Quando si scrive lo si fa per comunicare quello che si ha dentro, non per raggiungere un target. Io cerco di raggiungere le zone più profonde di me stesso per toccare le stesse zone nel lettore. A me interessa andare sotto la punta dell'iceberg."

Non cerca di pubblicare a tutti i costi:
"Non bisogna volare basso: lo scrittore, come il lettore, ha il desiderio di scoprire. Se trovo un editore che mi capisce, io pubblico, se non lo trovo, non pubblico. Altrimenti, cosa scrivo a fare?"

Si stupisce ancora quando sente che qualcuno legge i suoi libri: "Io sono ancora la persona che sta facendo il suo duello e non ha smesso di gridare. Quando sento che qualcuno legge i miei libri, per me è un dono".

La sua storia di lettore inizia a trent'anni. Moresco parte da Omero e ancora oggi pensa che uno dei libri fondamentali da leggere sia l'Iliade, con la guerra e Achille, l'eroe antico, un po' uomo e un po' dio. Legge di tutto, con grande predilezione per la poesia - Dante, Leopardi, Emily Dickinson. Adora Cervantes, perché con Don Chisciotte sfonda il piano che divide realtà e fantasia, allargando l'orizzonte della vita. Come fanno anche Kafka, Melville, Dostoevskij e le storie orientali che superano il meccanismo di causa effetto nel narrare la realtà.

"Se devo scegliere tra leggere e scrivere, preferisco di gran lunga leggere, perché lì la fatica l'ha già fatta qualcun altro e trovo la pappa pronta".

Per un lettore è bello potersi nutrire del cibo preparato da Antonio Moresco.


Antonio Moresco

Gli increati

Mondadori, 2015

1013 p.


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Antonella Sbriccoli