Obama e una bolla di sapone
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Massimo Teodori, "Obama il grande"

Un breve ma intenso libro dedicato agli otto anni del primo presidente afroamericano della storia

“Ritengo che Obama sarà giudicato un grande presidente malgrado gli errori e le carenze che ne hanno connotato la politica estera”.

Massimo Teodori, in questo libretto, Obama il grande (Marsilio 2016), dice dunque esplicitamente che gli otto anni del primo presidente afroamericano alla Casa Bianca devono essere considerati in modo molto favorevole.

In poco più di 80 pagine Teodori — Professore di Storia e istituzioni degli Stati Uniti (il cui pensiero in proposito è condensato in Storia degli Stati Uniti e sistema politico americano, Newton Compton) — ha il merito di prendere di petto le principali questioni che hanno caratterizzato la presidenza Obama e di offrire alcune chiavi di lettura anche ai lettori non specialisti.

Il libro è suddiviso in 15 capitoletti (cui si aggiunge una seconda parte di una ventina di pagine) dedicata al funzionamento delle elezioni presidenziali) convincenti, al centro dei quali, indispensabili per capire il resto, c’è quello intitolato “I suprematisti bianchi”.

Perché è innegabile che Obama abbia rappresentato una discontinuità insopportabile per il cuore razzista d’America, quello che, a oltre un secolo e mezzo dalla fine della Guerra civile, ancora crede alla superiorità dell’uomo bianco sui discendenti degli schiavi, con il portato di odio, risentimento e paura che il fenomeno storico, culturale, sociale e psicologico comporta.

La questione razziale, la violenza contro i neri, la legislazione illiberale in molti stati del sud e dell’ovest sono lo sfondo all’ostilità pregiudiziale che una parte consistente dell’America bianca ha opposto a qualsiasi iniziativa del presidente; prima e oltre il giudizio politico di merito.

“Mentre le minoranze di colore, i ceti medio-bassi e i giovani — scrive Teodori — puntavano sull’autorità di Washington per sedare le tensioni razziali e porre fine alle violenze contro gli afroamericani, i settori della popolazione bianca, eredi della tradizione schiavista, cercavano una rivincita che annullasse il successo elettorale dell’esponente della minoranza di colore.” (pag. 34)

La retorica contro Obama della destra repubblicana, espressione anche dell’ideologia regressiva del movimento del Tea Party (dal quale è ispirato anche il candidato Ted Cruz) non si comprende se non la si colloca sullo sfondo razziale.
Per la destra repubblicana Obama è via via un comunista, un musulmano, un nemico della libertà, uno che ha tradito i valori che hanno reso grande e potenti gli Stati Uniti.
L’assunzione dalla quale deriva questa ostilità è che Obama abbia usurpato la sua carica, in sostanza, non sia “restato al suo posto”, il concetto cardine del pensiero segregazionista dell’America.

Tutta l’opposizione interna alla politica del presidente — per esempio la riforma sanitaria, o le, sostanzialmente fallite, azioni per il controllo delle armi nelle mani dei cittadini, ma anche le iniziative a difesa dell’ambiente, la spinta a favore dei diritti civili delle minoranze gay e lesbiche, della difesa del diritto d’aborto — ma anche il blocco della legge finanziaria che ha paralizzato per settimane il governo federale, non sono comprensibili nell’estremismo e nei toni da crociata se non si confronta anche con la questione del colore della pelle di chi era entrato alla Casa Bianca.

Teodori, spiega e giustifica anche la politica estera di Obama — la più criticata dagli osservatori internazionali. In particolare la decisione di non mandare truppe a combattere il Califfato, l’abbandono della disastrosa politica interventista di Bush che ha incendiato tutto il Medio Oriente ed è all’origine anche del disordine che ha generato lo Stato Islamico.
Fra i successi di Obama, Teodori ricorda a ragione le aperture a Cuba e Iran.
La “sua politica, per quanto incerta, ha invertito radicalmente il senso della presenza americana nel mondo, nel tentativo di delegare ai soggetti locali il maggiore peso dei conflitti regionali”.

Teodori, infine, nega che l’America di Obama sia un paese in declino, come piace dire ai detrattori del presidente. Un paese che meglio di tutto l’occidente ha affrontato la crisi economica del 2008, all’avanguardia nello sviluppo delle nuove tecnologie, nella ricerca scientifica, nello sviluppo umano. Un paese che ha rafforzato il concetto che la supremazia americana si fonda sull’ideologia liberale, che ha saputo trasformare il potere in consenso, e le ambizioni egoistiche della nazione in autorevolezza globale”.
Insomma, io sto con Teodori (e con Obama).

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Ansa
Washington, 12 gennaio 2016, il presidente Usa Barack Obama durante il suo discorso sullo stato dell'Unione. Alle sue spalle il vice presidente Joe Biden (a sinistra) e il portavoce della Camera Paul Ryan

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Luigi Gavazzi