L'importanza di chiamarsi Freud
Mary McCartney/Camera Press/Contrasto
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L'importanza di chiamarsi Freud

Posare come modella per il padre Lucian. Gli esotismi a Marrakech e le notti di Londra. Kate Moss e John Malkovich. Viaggio nel background sentimentale di Bella Freud, la creativa britannica dai natali più illustri. L’intervista integrale a Bella Freud è sul numero 10 di Flair in edicola con Panorama di questa settimana .

Quando Lei arrivò a Marrakech era ancora una bambinetta, esile, pallida, di sei anni, con una sorellina più piccola e la madre poco più che ventenne. Lasciato alle spalle lo stretto di Gibilterra, la famiglia, tutta al femminile, aveva realizzato finalmente il suo desiderio: «Erano in molti a trasferirsi a Marrakech all’epoca, noi restammo circa diciotto mesi», ricorda oggi Bella Freud. «A darmi il benvenuto fu l’odore della zuppa di fagioli che ribolliva nel suk, e poi un altro, che non ho mai amato perché lo associo a cialtroni, a personaggi poco affidabili, quell’odore di patchouli, che ora – questo è divertente – è presente anche nelle mie fragranze». Lei – designer della propria maison, figlia di Lucian, uno dei mostri sacri nella pittura del ’900, pronipote di Sigmund, fondatore della psicoanalisi moderna – ecco lei, alla soglia dei 53 anni, ha la stessa figura sottile da ragazzino di quegli anni marocchini. Adesso il suo dna creativo ha una nuova declinazione: sta lavorando a una linea di profumi – si chiameranno, tra gli altri, 1970 e Je t’aime Jane– che uscirà tra qualche mese.

La moda, i profumi. Non ha pensato di diventare un’artista?

Non ho mai sentito la vocazione, sapevo di voler fare qualcosa che avesse a che vedere con il corpo.

Lei ha anche realizzato un maglione con la scritta “psycho-analysis”. È esplicito il riferimento al suo bisnonno?

Se non lo avessi fatto io ci avrebbe pensato qualcun altro. Perché lasciarlo ad altri, visto che questa è la mia storia?

A proposito, nella sua famiglia si parlava del bisnonno?

Mai. È curioso, ma nella mia famiglia la persona più famosa era uno zio che aveva realizzato una pubblicità di cibo per cani. Lo vedevi sempre in televisione. Per il resto il mio era solo un cognome che nessuno sapeva pronunciare correttamente. È stato piuttosto quando sono partita per Roma, per l’Accademia, che mi sono accorta che quel nome aveva grande risonanza. Dal bancario alla commessa, fino in lavanderia, tutti mi continuavano a fare domande.

Mi racconti di suo padre.

Lui e mia madre non si sono mai sposati. Si sono lasciati dopo che è nata mia sorella Esther (la scrittrice autrice di Hideous Kinky, ndr). Sono comunque rimasti sempre in buoni rapporti. In realtà ho cominciato a frequentare più assiduamente mio padre quando ero adolescente e ho iniziato a posare per lui. In seguito è sempre venuto alle mie sfilate e ha anche disegnato il logo di Bella Freud: la testa del mio cane di allora, Pluto. (…)

Si può leggere l’intervista integrale a Bella Freud sul numero 10 di Flair in edicola con Panorama di questa settimana .

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Marta Galli