Giorno 8: la danza del sole
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Giorno 8: la danza del sole

Non riesco a essere razionale, in questo momento.

Sento la malinconia che accompagna la fine di un viaggio, un piccolo dolore che riempie la separazione fisica da un luogo…

L’immagine della piccola chiesetta colorata accanto alla nostra casa rimane nella memoria del mio cellulare defunto, ma anche nei miei ricordi più vividi.
Resterà nelle telefonate con la mia ragazza il piccolo cane che chiamavo “colonnello”; stasera il suo goffo e coraggioso papà si è messo al riparo da tutto sulle mie gambe e lì l’ho tenuto finchè ne ho avuto il tempo: è un bravo padre, non perde mai di vista i suoi tre cuccioli e ne ha molta cura!

Queste cose, forse stronzate, mi piacciono un sacco.

L’eco di una musica lontana e allegra, come di festa bianca, accompagna le chiacchiere con Niccolò davanti ai fari dell’auto accesi, mentre sediamo nella notte fredda.
Il vento che ci è rimasto fedelmente addosso per tutto il tempo stasera sembra darci una tregua, mentre sfavillano in lontananza le luci di Ribeira Grande e di Rabo de Peixe.

Sono tornato in uno dei miei piccoli inferni personali: Porto.

Non ero solo, stavolta.

Questo fa tutta la differenza del mondo.

Celebrazione di bravura mia solo in parte, devo la vita a un sacco di gente!
Ho rivisto menti perdute via nel buio degli antipsicotici, perse altrove… stessa faccia, stesso sorriso, quello di Valente, e le premure di Yvone: la Clinica do Outeiro mi ha spezzato il cuore, la Cleanic di Joana mi ha levato il fiato.
È la danza del sole dei vittoriosi, di me e di Nik, di Giulia e Andrea il (fratello) giornalista, di Gian e di Andre , di Anton…
È una Ballata dei Perduti, anche, perché trattengo come acqua nella spugna il volto dei ragazzi tormentati e drogati di qui, per che due soldi e un caffè hanno srotolato la loro vita bucata.

La sobrietà non regala distacco dalle emozioni, per fortuna: rimangono nella trama dei pensieri i loro nomi portoghesi, le labbra che si scuciono per parlare di male e di sfortuna, di rotte sbagliate e di naufragi senza salvezza.
Restano come tatuaggi sulla pelle, come baci sfiorati, come un violino che suona in primavera.

Sono in tanti, sono i tossicomani incontrati, un po’ furbi e un po’ donchisciotteschi, uomini e donne perduti in una ballata da 5 euro, smarriti in una pastiglia azzurra macinata.
Beh, ascoltate: il viaggio è stato una meraviglia, incontri come romanzi russi e situazioni da minimalisti americani!

Non ho surfato, mancava il tizio che affittava le tavole, oggi che era l’ultimo giorno e che le onde superavano i due metri.
Ho guardato l’Italia vincere, mentre cercavo di raccogliere le sensazioni di questi dieci giorni e tentavo una qualche prosa spontanea o una più raffinata narrazione poetica!

La stanchezza mi chiude gli occhi, questa è l’ultima battaglia, per oggi: raccontare ciò abbiamo raccontato…

Naufragi di barche a vela colme di cocaina, emergenze e urgenze, vittime e carnefici… e vecchi pescatori furbi e senza voglia di parlare!

Abbiamo lavorato per una testata importante, con una crew di amici in un luogo stupendo: poco altro da aggiungere, la malinconia svanirà intorno al check in e riportiamo a casa delle buone verità: oltre 500 chili di cocaina purissima che 11 anni fa hanno devastato un’isola nelle sue viscere; abbiamo visto dove è stata nascosta, dove è stata trovata, dove se la sono fatta.

Evitando il buio negli occhi degli altri, tenendo lo sguardo alto e il peso a terra si possono percorrere i viali della vita con passo sicuro ed elegante, si può guardare al passato con occhio meno duro perché è il presente ciò che conta, e conta per davvero.

Questo viaggio mi dice che è la bellezza delle cose che contamina l’anima almeno quanto il contrario, che l’affettività delle persone fa la differenza e che la fortuna, e la sfortuna, hanno un peso importantissimo.

Ho navigato per molte epoche con vele inadeguate e ho spinto verso lidi lontani solo per poi tornare a casa per ricoverare la mia stessa barca.

Ho incontrato gente nel mare di mezzo e negli oceani più vorticosi ma ho saputo fare ritorno, ed è questo che conta: rimettere in sesto il gozzo o il veliero, e ripartire…
“homeward bound” recita un tatuaggio che porto sul collo.

Significa: “diretto a casa”.

È lì che sto tornando…

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