Giorno 2, nella redazione di Publico
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Giorno 2, nella redazione di Publico

Niccolò visita la redazione del quotidiano portoghese Publico, per scoprire maggiori dettagli sul naufragio di undici anni fa

Per le leggende e le favole può bastare la fantasia perché si reggano in piedi.
Per una storia moderna e contemporanea come la nostra, perché esista, serve qualcuno che la attesti.

Le informazioni cercate e recuperate in rete sono così misere e sottili che sentiamo il bisogno di affidarci a mezzi più tradizionali, per ottenere informazioni preziose.
Una mail mandata dall’Italia alla redazione di Publico, testata quotidiana portoghese, giace ancora su un server senza risposta.

Così, insieme ad Andrea e Gianluca, decidiamo di bussare personalmente alla porta del giornale.
Emilio e  Juanez, due giornalisti di cronaca, si adoperano perché una notizia breve, pubblicata on line il 14 dicembre 2001, diventi qualcosa di più corposo anche grazie ai colleghi dell’agenzia di informazione locale Lusa.

Scopriamo nuovi particolari di questo incredibile naufragio, che undici anni fa ha modificato la vita di oltre trecento persone.

Nel frattempo l’altra metà della truppa capitanata da Giovanni si è diretta a una trentina di chilometri a ovest di Porto, alla clinica di Outeiro, dove Giovanni è stato ospite due volte, con più o meno successo.
Noi li raggiungiamo insieme a Nuno, interprete medico-pediatra e surfista atlantico, che ci aiuterà nelle traduzioni simultanee.
Giovanni è visibilmente emozionato. Rivedere questi luoghi, molti anni dopo esserne stato prigioniero volontario, con la prospettiva di poterli lasciare in qualsiasi momento lo desideri, dev’essere un’esperienza a metà tra il mistico e l’ inquietante. Anche la libertà, quando è agognata  e poi raggiunta, può fare molta paura.
Qui incontriamo i primi ragazzi azzorriani. Molti di loro si dichiarano disposti a raccontarci la loro storia, ma non a farsi riprendere dalle camere. Solo Paulo, 25 anni, mi accompagna vicino all’aranceto della comunità e decide di raccontare i suoi ultimi anni di crepe e cocaina davanti all’obbiettivo. Ci sono anche Ana e Sofia, due giovani psicoterapeute che aiutano i ragazzi nel loro percorso.

Parlerà con me e Giovanni anche il direttore e amministratore della Clinica, nella casa madeira. Luogo dove anche il mio socio rivivrà ricordi e odori che, mi fa capire, non  sono facili affatto da sbriciolare.
Siamo invitati a pranzo. Ho lo stomaco chiuso e sono condizionato dai racconti crudi di Giovanni. Non riesco a mangiare.

Outeiro è un posto surreale e ruvido, di un profondo rispetto comune e di un dignitoso silenzio.

Abbiamo vissuto una giornata  in bilico su un filo spinato tra la paura di parlare e la curiosità infinita di ascoltare le storie degli abitanti di questo posto ai confini, non solo dell’Europa, ma anche del mondo.

Dove le stelle, la notte, però non fanno nemmeno troppo schifo. Me lo ha detto Paulo. Quelle delle Azzorre però gli mancano tanto. Perché sono più luminose.

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